mercoledì 16 novembre 2011

La cultura è ancora il faro dell'umanità?


Ogni atmosfera culturale è profondamente legata alla società nella quale si sviluppa. Questi due contesti nei quali viviamo si influenzano l’un l’altro, dando vita a diverse situazioni storiche sempre diverse che a loro volta modificano i nostri modi di vivere, le nostre abitudini, le nostre concezioni e i nostri punti di vista. Un grande cambiamento culturale ha enormi ripercussioni sociali, così come le mutazioni sociali influenzano la cultura di quel determinato periodo. 

La società odierna, nella quale noi viviamo, è definita come società di massa. Essa ha le sue radici nei profondi cambiamenti che si sono verificati nel secondo dopoguerra. Il cosiddetto “boom economico” che ha introdotto l’Italia nel novero delle potenze industriali europee ha portato il benessere economico in moltissime famiglie italiane. Si sono diffusi tutti i beni di consumo, ovvero tutti quei beni non essenziali che concorrono a un miglioramento della qualità della vita. La comunicazione televisiva inizia il suo operato a metà degli anni ’50, svolgendo una funzione storicamente molto importante: una società contadina caratterizzata da un alto tasso di analfabetismo e del tutto estranea al contesto nazionale ed internazionale, viene trasformata in una società industriale alfabetizzata e scolarizzata dove ogni individuo conosce (o almeno ha la possibilità di conoscere) il contesto in cui vive. Insomma, la televisione in quegli anni ha dato un forte impulso all’unificazione linguistica dell’Italia, anche se a scapito di tutto il preziosissimo mondo contadino prenazionale e preindustriale costituito da tradizioni, dialetti e altri tratti fondamentali del patrimonio culturale locale. Secondo Pier Paolo Pasolini, l’adeguamento totale e forzato di questi modelli culturali a un modello culturale unico, definito dall’intellettuale come “spietato totalitarismo”, danneggia enormemente il patrimonio culturale italiano. La “cultura” della civiltà dei consumi, oltre a distruggere le piccole realtà culturali, depaupera enormemente l’espressività della comunicazione eliminando i dialetti. Inoltre, vengono creati bisogni artificiali, necessari per il corretto funzionamento industriale (e per l’arricchimento dei soliti “pochi”). Questi bisogni sono indotti dalla pubblicità, che pressa psicologicamente l’uomo-massa verso determinate scelte di consumo spesso non necessarie. 

Non solo la pubblicità condiziona il modo di pensare dell’uomo: le trasmissioni televisive sono in genere povere di contenuto culturale e danneggiano l’identità delle arti, coadiuvando il processo di eliminazione della parte più interiore e riflessiva dell’uomo. Il tempo per ogni riflessione interiore non è produttivo e per questo è considerato inutile dalla “Civiltà del Progresso”, dove conta solo ciò che è monetizzato. La ricerca spasmodica dell’utile economico e del guadagno ha travolto anche la cultura, che viene riorganizzata secondo i criteri tipici dell’industria. Un libro, o un qualsiasi prodotto intellettuale come un disco musicale, viene considerato come merce dalla quale bisogna ricavare un maggior utile possibile. Questi processi economici, insieme alla pubblicità e ai mass media, alimentano questa mercificazione dell’Arte e del Sapere, che confluisce in un’unica grande cultura di massa. Non esiste più una cultura “alta”, destinata a pochi eruditi, e una bassa, rappresentata dalla saggezza popolare o da opere di minor rilievo, destinata al popolo più semplice: la cultura di massa è appetibile a tutte le classi sociali, senza alcuna distinzione. I libri possono essere trovati non solo nelle librerie, ma anche nelle edicole e perfino sugli scaffali dei supermercati. Una tale mercificazione sembrerebbe capace di annientare la funzione portatrice di valori dell’Arte, ma fortunatamente non è così. Come ci spiega Umberto Eco in un suo saggio, la cultura di massa non ha eliminato la cultura “alta”, ma ha solo raggiunto coloro che in precedenza non avevano la possibilità di accedere ad alcuna forma di cultura. Purtroppo la cultura con cui entriamo in contatto è spesso superficiale, di scarsa qualità, priva di valori profondi e prodotta solamente ai fini dell’intero guadagno economico. Sembrerebbe che al giorno d’oggi la Cultura sia stata immolata sul sacro altare del Dio Denaro, in nome del progresso e del guadagno. Fortunatamente non è così: la cultura alta, quella veramente utile al progresso e alla felicità dell’uomo, continua a sopravvivere. Le nostre diverse sensibilità rispetto alla cultura (quella veramente degna di esser definita tale) ci permettono di selezionare tutta l’enorme produzione culturale che ci viene proposta, individuando le opere portatrici di veri valori artistici tra le tante deludenti pseudo-opere. 

La distribuzione dell’Arte come prodotto consente a tutti di attingere alla cultura vera, ma la maggior parte delle persone ha un rigetto verso le forme d’Arte più impegnative e importanti: ciò mantiene la cultura vera come cultura elitaria, destinata ai pochi che la vogliono accogliere nelle loro vite. La cultura è l’unico mezzo con un potenziale tale da permetterci di poter davvero cambiare questo mondo e renderlo più giusto. A una società così strettamente legata al denaro e ai beni materiali, dobbiamo opporre una resistenza ferrea fatta di cultura, Arte e conoscenza. Non dobbiamo assolutamente permettere che i valori immortali dell’Arte soccombano sotto il fuoco incessante di questa società senza identità culturale e senza spirito artistico. La cultura è la prima pietra sulla quale costruire un mondo dove l’uomo possa progredire verso forme più evolute di civiltà e riscoprire la sua identità artistica e spirituale. Se vogliamo vivere in un mondo dove ogni essere umano abbia la possibilità di realizzarsi (non solo materialmente, ma anche spiritualmente), dobbiamo necessariamente riorganizzare la gerarchia dei valori nella società. Ogni espressione dello spirito umano può condurci verso il vero progresso, fatto non solo di denaro, ma anche di benessere e felicità.

lunedì 14 novembre 2011

Il dualismo politico destra-sinistra


Il dualismo politico destra-sinistra: passato, presente e futuro del bipolarismo italiano.

I grandi cambiamenti sociali che dalla Rivoluzione Francese in poi hanno portato all'ingresso delle masse nella vita politica di molti paesi occidentali hanno creato la netta contrapposizione ideologica tra destra e sinistra, all'interno della quale ancora oggi si muove il pensiero politico delle masse. L'utilizzo di questa terminologia per indicare queste due tendenze politiche risale alla Rivoluzione Francese: nell'Assemblea degli Stati Generali i conservatori (ovvero i nobili e il clero) sedevano a destra dell'aula e i rappresentanti del Terzo Stato, i giacobini (ovvero la nascente borghesia), che avevano come obiettivo l'istituzione di una repubblica democratica che tenesse conto delle libertà individuali, sedevano a sinistra.

Con l'ingresso delle masse in politica queste posizioni sono ovviamente cambiate, pur mantenendo lo stesso schema strutturale. I conservatori, ovviamente, non difendono più sistemi come la monarchia assoluta francese e ai giacobini si sono sostituiti i moderni partiti di massa socialdemocratici. È più o meno su questa falsariga che si muovono i moderni sistemi bipolaristi vigenti nella maggior parte delle democrazie occidentali.

Secondo la tesi avvalorata dal filosofo Norberto Bobbio, la differenza principale tra destra e sinistra è il diverso atteggiamento rispetto al concetto di uguaglianza, così come la differenza tra moderati ed estremisti di entrambi gli schieramenti è il differente approccio all'idea di libertà. Secondo questo criterio è possibile raggruppare tutte le dottrine politiche in quattro gruppi fondamentali, due di sinistra e due di destra. L'estrema sinistra propugna l'uguaglianza economica ma con un sistema statale autoritario, mentre il centro-sinistra in genere propone una maggiore uguaglianza economica conciliabile con il rispetto delle libertà individuali. A destra invece si possono identificare il centro-destra, che all'eguaglianza economica preferisce quella giuridica nel pieno rispetto delle istituzioni democratiche, e la destra estrema, nella quale si collocano ideologie antidemocratiche e illiberali che hanno come massimo esempio storico fascismo e nazismo. Muovendosi ancora all'interno di questo schema generale, ma scendendo più sul piano della politica concreta, destra e sinistra si differenziano per le posizioni diametralmente opposte sui temi delle libertà economiche e dei diritti civili. Questa differenza di programma politico ha spesso raccolto l'opinione pubblica in due grandi schieramenti contrapposti, creando il sistema bipolarista tipico delle grandi democrazie occidentali. Anche nel caso italiano è riscontrabile questa tendenza, seppur con diversa intensità. Nell'Italia appena riunificata di fine Ottocento il dualismo tra Destra e Sinistra Storica è rimasto un concetto piuttosto teorico, salvo rare eccezioni. Alla linea dura del contrasto politico sono prevalsi il trasformismo e la tendenza tipici dei governi di Depretis o Giolitti. In seguito, l'impossibilità di distinguere sul piano politico la destra e la sinistra portarono alla supremazia della prima sulla seconda. L'ex socialista Mussolini divenne dittatore fascista anche grazie al suo atteggiamento rivoluzionario tipico della sinistra, posto però al servizio di ideologie autoritarie e nazionaliste tipiche della destra.

Negli anni della Prima Repubblica il bipolarismo era rappresentato dalla Democrazia Cristiana, sempre maggioritaria, e dal Partito Comunusta Italiano, uno tra i più forti partiti comunisti d'Europa. Tuttavia il “fattore K” (la vicinanza del partito al governo sovietico di Mosca) e la strategia della tensione, attuata da molte forze più o meno oscure del nostro paese per allontanare l'opinione pubblica dall'ideologia comunista, impedirono al PCI di presentarsi come una valida alternativa di governo. Nei primi anni Novanta, la maxi inchiesta Tangentopoli mise a nudo tutto il marciume che si celava dietro questo sistema, rinnovando quasi completamente la classe dirigente italiana. Nuovi uomini fondarono nuovi partiti, come Forza Italia, che modificarono radicalmente il modus operandi della politica italiana.

Il bipolarismo italiano dell'ultimo ventennio non è paragonabile ad altri sistemi bipolaristi occidentali. Come sostiene Marcello Veneziani, il sistema bipolarista italiano è aperto a due soluzioni: o un nuovo rafforzamento della distanza tra destra e sinistra o la completa dissoluzione del contrasto politico. Però per provare a ipotizzare la svolta che prenderà il nostro sistema politico non possiamo prescindere da altre variabili che stanno entrando in gioco e rischiano di portare il Paese verso la degenerazione politica totale. La prassi politica ormai tipicamente italiana si basa più sui protagonisti della politica che sulle ideologie e sulla loro applicazione pratica ai problemi. L'individualismo è uno dei cancri della nostra politica e sta portando la nostra classe dirigente a perdere sempre di più il contatto con la realtà e a utilizzare le istituzioni per fini personali disinteressandosi delle reali problematiche del paese. Questa degenerazione sta investendo sia la destra che la sinistra, allontanando le masse dall'impegno politico (che viene visto come qualcosa di “sporco” e poco limpido) e ampliando la distanza tra la classe politica e i cittadini.

Le domande “Cos'è la destra? Cos'è la sinistra?” che si pone Giorgio Gaber in una sua canzone sono più che lecite. Purtroppo affermare che la differenza tra destra e sinistra sia sempre più sottile non è fare del puro qualunquismo, ma è la considerazione di un dato di fatto. É necessario che ogni cittadino si impegni attivamente nella vita politica per poter porre nuovamente i problemi del Paese nelle agende dei nostri politici. Al serio impegno politico dei cittadini va affiancato il rinnovamento dei concetti di destra e sinistra. Prima di riformare la politica bisogna rinnovare il modo di pensare la politica stessa, lasciando che ogni proposta di azione politica sia libera da ogni implicazione ideologica. La nostra società è in continuo cambiamento e non possiamo ragionare con logiche politiche vecchie di secoli. Purtroppo non siamo ancora ponti per una politica che metta al centro del suo operato il cittadino e non le ideologie astratte e spesso fuorvianti: per questo nel prossimo futuro non dobbiamo eliminare destra e sinistra come categorie di interpretazione politica, ma riformarli come concetti adatti alla società del nostro tempo, semplificando l'accesso all'attività politica, ponendo i problemi reali del Paese al centro dell'attenzione e salvaguardando la democratica diversità di opinioni.

Nel conseguente clima disteso di dialogo politico costruttivo potremo, finalmente, regalare un futuro migliore a questo Paese.

domenica 13 novembre 2011

Recensione: Pink Floyd - The Dark Side of the Moon


“The Dark Side Of The Moon” è un album importantissimo nella storia della musica del Novecento. Esso rappresenta una pietra miliare della storia del rock sotto vari aspetti, ed è uno degli album più venduti della storia, con 45 milioni di copie vendute dal 1973 a oggi.

É un lavoro ricco di contenuti, perfettamente elaborato e prodotto (grazie al lavoro di ingegneria musicale di Alan Parsons), anche se inizia a distaccarsi dalle opere precedenti del gruppo, caratterizzate da un impatto più psichedelico e da un target meno ampio. Con quest’album il gruppo britannico riesce a conciliare le aspettative dei fan più affezionati alla psichedelia del primo periodo con l’idea di creare un album capace di raggiungere un pubblico più vasto. A questo fine, i Pink Floyd accantonarono la forma della lunga suite a favore della canzone singola, anche se in questo capolavoro tutte le tracce sono ottimamente collegate tra loro, tanto da sembrare un unico, lungo e splendido viaggio fatto di musica e parole. Se si vuole apprezzare il più possibile quest’opera, è necessario ascoltarla per intero e nella giusta sequenza per non intaccare la continuità, uno dei fulcri di questo lavoro. I punti di forza di quest’album sono i testi, tutti ad opera del bassista Roger Waters, e il complesso lavoro di composizione, registrazione e produzione.
La copertina è una delle più famose nella storia del rock. Essa raffigura, su uno sfondo completamente nero, un prisma colpito da un raggio di luce bianca che si scompone nello spettro dei colori dell'iride.


L’album si apre con “Speak To Me”, che funge da overture dell’album. È un particolare collage di suoni che richiamano esplicitamente a tutte le altre tracce dell’album. L’obiettivo è di dare all’ascoltatore le sensazioni degli istanti pre-nascita, che culmina nell’attacco della traccia successiva, “Breathe”, che rappresenta la nascita vera e propria. È un brano lento molto armonico, nel quale la slide guitar di Gilmour, sotto la direzione di Parsons, crea un tappeto sonoro quasi onirico. Il testo è un invito a non lasciarsi abbandonare al ritmo frenetico della vita e a riposarsi quando necessario. La traccia seguente è “On The Run”, un brano strumentale dal ritmo semplice, veloce e ipnotico. La canzone è ispirata alla paura di morire in viaggio, che per un gruppo come i Pink Floyd è perenne, essendo spesso in viaggio per i frequenti tour. Il pezzo successivo è uno dei più famosi del rock, intitolato “Time”. Questo brano è famosissimo per il suo assolo, secondo molti uno dei migliori assoli firmati David Gilmour, e per i numerosi effetti sonori, ancora una volta frutto del lavoro di Parsons. Il tema lirico della canzone è un tema caro anche a molti poeti antichi e moderni: la fugacità della vita. La profondità con cui è trattato l’argomento permette di collocare anche questo testo tra tutti i più importanti capolavori poetici su quest’argomento. La quinta traccia è “The Great Gig In The Sky”, famosissima per il suo assolo vocale, eseguito da Clare Torry. La canzone seguente è una delle più famose nella storia del quartetto londinese, “Money”. Il pezzo è in 7/4, fatto abbastanza insolito per il genere all’epoca, ed è caratterizzato da un riff di basso in stile blues e una sezione jazzistica con un assolo di sax. La canzone è una polemica rivolta al ruolo del denaro nella società odierna: esso è la radice di tutti i mali, e porta gli uomini gli uni contro gli altri, spingendoli alla follia (tema ricorrente in tutto l’album). La settima traccia è “Us And Them”, un pezzo lento e soft, reso quasi ipnotico dal tappeto sonoro ottenuto con un organo hammond. Il tema della canzone è l’avversione alla guerra e alla povertà. Il titolo della canzone successiva è “Any Colour You Like”, un pezzo strumentale, caratterizzato dalle frequenti improvvisazioni di chitarra elettrica e sintetizzatore. La struttura del brano è alterata nelle ultime battute per introdurre il brano successivo, “Brain Damage”. Questo pezzo è inizialmente delicato per poi sfociare nel ritornello esplosivo. Il tema principale del testo è la pazzia, con un evidente riferimento all’ex leader del gruppo, Syd Barrett (deceduto quattro anni fa). A questa canzone è legato il brano che chiude l’album, “Eclipse”. Il pezzo, strutturalmente, è simile al precedente, ma il testo contiene probabilmente il messaggio di un’amara speranza di potercela fare. Il brano si chiude con lo stesso battito cardiaco, che chiude il cerchio e rafforza il filo di continuità presente lungo tutta l’opera.



“The Dark Side Of The Moon” è un’opera complessa, ricco di riflessioni introspettive, che a distanza di trentasette anni dalla sua uscita, continua a emozionare ogni ascoltatore. Ha affascinato diverse generazioni di ascoltatori e continuerà a farlo perché, come ogni grande opera d’arte, si fa portatrice di temi universali.




sabato 12 novembre 2011

Recensione: Verdena - WOW


“The Dark Side Of The Moon” è un album importantissimo nella storia della musica del Novecento. Esso rappresenta una pietra miliare della storia del rock sotto vari aspetti, ed è uno degli album più venduti della storia, con 45 milioni di copie vendute dal 1973 a oggi.

É un lavoro ricco di contenuti, perfettamente elaborato e prodotto (grazie al lavoro di ingegneria musicale di Alan Parsons), anche se inizia a distaccarsi dalle opere precedenti del gruppo, caratterizzate da un impatto più psichedelico e da un target meno ampio. Con quest’album il gruppo britannico riesce a conciliare le aspettative dei fan più affezionati alla psichedelia del primo periodo con l’idea di creare un album capace di raggiungere un pubblico più vasto. A questo fine, i Pink Floyd accantonarono la forma della lunga suite a favore della canzone singola, anche se in questo capolavoro tutte le tracce sono ottimamente collegate tra loro, tanto da sembrare un unico, lungo e splendido viaggio fatto di musica e parole. Se si vuole apprezzare il più possibile quest’opera, è necessario ascoltarla per intero e nella giusta sequenza per non intaccare la continuità, uno dei fulcri di questo lavoro. I punti di forza di quest’album sono i testi, tutti ad opera del bassista Roger Waters, e il complesso lavoro di composizione, registrazione e produzione.
La copertina è una delle più famose nella storia del rock. Essa raffigura, su uno sfondo completamente nero, un prisma colpito da un raggio di luce bianca che si scompone nello spettro dei colori dell'iride.

L’album si apre con “Speak To Me”, che funge da overture dell’album. È un particolare collage di suoni che richiamano esplicitamente a tutte le altre tracce dell’album. L’obiettivo è di dare all’ascoltatore le sensazioni degli istanti pre-nascita, che culmina nell’attacco della traccia successiva, “Breathe”, che rappresenta la nascita vera e propria. È un brano lento molto armonico, nel quale la slide guitar di Gilmour, sotto la direzione di Parsons, crea un tappeto sonoro quasi onirico. Il testo è un invito a non lasciarsi abbandonare al ritmo frenetico della vita e a riposarsi quando necessario. La traccia seguente è “On The Run”, un brano strumentale dal ritmo semplice, veloce e ipnotico. La canzone è ispirata alla paura di morire in viaggio, che per un gruppo come i Pink Floyd è perenne, essendo spesso in viaggio per i frequenti tour. Il pezzo successivo è uno dei più famosi del rock, intitolato “Time”. Questo brano è famosissimo per il suo assolo, secondo molti uno dei migliori assoli firmati David Gilmour, e per i numerosi effetti sonori, ancora una volta frutto del lavoro di Parsons. Il tema lirico della canzone è un tema caro anche a molti poeti antichi e moderni: la fugacità della vita. La profondità con cui è trattato l’argomento permette di collocare anche questo testo tra tutti i più importanti capolavori poetici su quest’argomento. La quinta traccia è “The Great Gig In The Sky”, famosissima per il suo assolo vocale, eseguito da Clare Torry. La canzone seguente è una delle più famose nella storia del quartetto londinese, “Money”. Il pezzo è in 7/4, fatto abbastanza insolito per il genere all’epoca, ed è caratterizzato da un riff di basso in stile blues e una sezione jazzistica con un assolo di sax. La canzone è una polemica rivolta al ruolo del denaro nella società odierna: esso è la radice di tutti i mali, e porta gli uomini gli uni contro gli altri, spingendoli alla follia (tema ricorrente in tutto l’album). La settima traccia è “Us And Them”, un pezzo lento e soft, reso quasi ipnotico dal tappeto sonoro ottenuto con un organo hammond. Il tema della canzone è l’avversione alla guerra e alla povertà. Il titolo della canzone successiva è “Any Colour You Like”, un pezzo strumentale, caratterizzato dalle frequenti improvvisazioni di chitarra elettrica e sintetizzatore. La struttura del brano è alterata nelle ultime battute per introdurre il brano successivo, “Brain Damage”. Questo pezzo è inizialmente delicato per poi sfociare nel ritornello esplosivo. Il tema principale del testo è la pazzia, con un evidente riferimento all’ex leader del gruppo, Syd Barrett (deceduto quattro anni fa). A questa canzone è legato il brano che chiude l’album, “Eclipse”. Il pezzo, strutturalmente, è simile al precedente, ma il testo contiene probabilmente il messaggio di un’amara speranza di potercela fare. Il brano si chiude con lo stesso battito cardiaco, che chiude il cerchio e rafforza il filo di continuità presente lungo tutta l’opera.

“The Dark Side Of The Moon” è un’opera complessa, ricco di riflessioni introspettive, che a distanza di trentasette anni dalla sua uscita, continua a emozionare ogni ascoltatore. Ha affascinato diverse generazioni di ascoltatori e continuerà a farlo perché, come ogni grande opera d’arte, si fa portatrice di temi universali.




venerdì 11 novembre 2011

Recensione: Marlene Kuntz - Ricoveri virtuali e sexy solitudini

I Marlene Kuntz sono uno dei gruppi più importanti nel panorama del rock alternativo italiano. Con i primi dischi come “Catartica”, usciti a metà degli anni ’90, coniarono uno stile musicale assolutamente originale, fatto da arrangiamenti tra il noise rock e l’alternative e da testi, carichi di rabbia giovanile ma estremamente curati e particolari. Con il passare del tempo questo stile è naturalmente evoluto verso un rock più melodico e meno dissonante, fino ad arrivare all’album del 2007 “Uno”, dal piglio decisamente cantautorale. I Marlene Kuntz sono visti dalla maggior parte del pubblico in lento declino, come altri gruppi a loro coevi come gli Afterhours. Ma più che di declino si dovrebbe parlare di una continua maturazione artistica e di un’evoluzione del sound naturale: “Ricoveri virtuali e sexy solitudini” è uscito da pochi mesi e ha già creato parecchie polemiche. Il disco è un leggero ritorno al rock degli esordi, con però pochissimi richiami noise che caratterizzarono i primi dischi, avvertibili solo in “Ricovero virtuale” e “Pornorima”, due brani caratterizzati da testi molto diretti ed espliciti. Il primo è una feroce invettiva contro Internet. Secondo Cristiano Godano (frontman della band) Internet, dando la possibilità di scaricare enormi quantità di musica gratis, distrugge il valore che la musica stessa possedeva prima dell’avvento della Rete. Altri pezzi come “Paolo anima salva”, “Orizzonti” e “Un piacere speciale” sono brani rock supportati da ritornelli accattivanti e catchy che scorrono tranquilli tenendo alto il livello generale del disco. Ma i pezzi migliori dell’album sono senza alcun dubbio quelli più oscuri ed introspettivi, quelli più musicalmente e liricamente intensi. “Vivo” è un crescendo travolgente e drammatico che sicuramente colpisce l’attenzione di ogni ascoltatore. “Io e me” è un brano dall’impianto compositivo vicino al trip hop, che spezza leggermente il ritmo generale dell’album. Il pezzo più liricamente impegnato dell’album è senza dubbio “L’artista”. Dal punto di vista sonoro è un brano quasi cantautorale: inizia con leggeri armonici e arpeggi e continua a ritmo sostenuto per sfociare in un finale intenso ma morbido. Altri pezzi come “L’idiota”, “Oasi” e “Scatti” sono liricamente impeccabili, ma musicalmente non stupiscono l’ascoltatore.

Nonostante tutte le critiche che certamente arriveranno, questo disco è decisamente degno della band che l’ha creato. Però è necessario liberarsi da ogni pregiudizio e non fare paragoni con “Catartica” o “Il vile”, tenendo presente che l’evoluzione e la maturazione artistica sono manifestazioni della vitalità di ogni artista. Forse le pecche di questo disco stanno proprio nel cercare di soddisfare quei fan che vorrebbero tanti “Catartica”, mentre forse sarebbe stato più giusto continuare a sfruttare la vena cantautorale di “Uno” continuando a sperimentare. Insomma cari fan, se vi piacciono le band capaci solo di fare album tutti uguali, accontentatevi degli AC/DC e lasciateci i Marlene Kuntz.



Recensione: Ulver - Blood Inside

Sono passati dieci anni dall’uscita di “Bergtatt”, il primo full lenght di Garm e compagni. Quel disco aprì una trilogia di lavori caratterizzati da un black metal ferale, arricchito da influenze folk non indifferenti; ma nel 1998 c’è la svolta, con l’uscita di “Themes From William Blake, The Marriage of Heaven And Hell”. I lupi del black metal norvegese cominciano a spostarsi dal genere, pubblicando un lavoro a metà tra avant-garde metal vicino agli Arcturus (nei quali militò alla voce lo stesso Garm), elettronica e ambient. Poi, nel 2000, la pubblicazione di un album come “Perdition City” segna un totale distacco dagli Ulver che diedero alle stampe capolavori “Bergatt” e “Nattens Madrigal”. Quest’album è un lavoro difficilmente classificabile all’interno di un genere preciso, essendo a metà tra elettronica e ambient ma ricco di inserti di diversi generi, specialmente jazz. Questi nuovi Ulver, eclettici e camaleontici come non mai, dimostrano di saper spaziare tra un genere e un altro senza particolari problemi.

E dopo cinque anni di attesa, ecco che viene dato alle stampe il tanto atteso “Blood Inside”. L’artwork è apparentemente semplice, con una croce rossa su sfondo bianco che simboleggia l’emergenza totale della vita, quel sangue che inizia a scorrere in noi nella nascita e si ferma nell’inesorabile fine rappresentata dalla morte. Ed è proprio questa fine ad essere avvilita e tormentata da una telefonata senza fine e dall'operatore, figura dominante dell’ultima traccia che, senza rispondere al segnale di attesa, lascia esalare l'ultimo respiro dell'emergenza in un tetro, oppressivo e disumano silenzio.

L’album si apre con “Dressed in Black”. Questo brano, è un pezzo inesorabilmente lento e minimale, che riesce, in certi frangenti, a diventare “deliziosamente” oppressivo, per poi sfociare in un crescendo monumentale, nel quale dominano i suoni percussivi e altri effetti sonori dosati sapientemente. A fine traccia sono presenti dei cori dal sapore onirico che collega l’opening track con il secondo brano, “For The Love Of God”. L’aspetto che colpisce fin da subito è la cadenza del brano, scandita dai sublimi effetti percussivi, che si legano alla perfezione con il cantato impeccabile di Garm. Anche questo brano è legato al successivo dal suono di molti campanelli, che introducono “Christmas”. Questo pezzo, uno dei più apprezzabili di tutto l’album, parla del ruolo della religione nella società odierna, la quale subisce troppe interpretazioni diverse che portano la società a frammentarsi, trascinata dalla cecità della fede, che è identificata come rovina della religione stessa. Il pezzo successivo è “Blinded By Blood”, un brano prevalentemente ambient che spezza l’andatura dell’album per introdurre “It Is Not Sound”. Questa quinta traccia è probabilmente la migliore di tutto l’album, e contiene gli aspetti significativi di tutta l’opera. La parte più interessante è “l’assolo” di sintetizzatore, che consiste in un intreccio di brani di musica classica riadattati, tra i quali spicca “Toccata e Fuga” di Johann Sebastian Bach. Il pezzo successivo, “The Truth”, è dominato dai suoni percussivi e dagli altri effetti sonori che si miscelano perfettamente tra loro, adattandosi alla stupenda voce di Garm. La settima traccia è “In The Red”, un pezzo molto particolare, arricchito da continui richiami al jazz e alla musica anni ’20. Le ultime due tracce sono strettamente connesse tra loro: “Your Call” un pezzo dal respiro ambient dominato dal segnale di chiamata al quale nessuno risponde, introduce il pezzo di chiusura, la violenta “Operator”, ricca di arrangiamenti jazz molto tecnici e complessi, però senza sfociare in un virtuosismo che risulterebbe inutile e dannoso al contesto.

Dal punto di vista lirico, nulla è lasciato al caso. Tutti i testi sono enigmatici e di dubbia interpretazione. Dopotutto questa nuova fatica del trio norvegese è un disco eterogeneo, nel quale Garm trascina l’essenza elitaria del black metal in un contesto nuovo, particolare e molto più vasto di quello del black metal. Questo disco è di difficile ascolto, e non è semplice comprenderlo. È dichiaratamente un disco per pochi, che può risultare un ulteriore tradimento agli ascoltatori più fedeli al black metal, ma può essere considerato un capolavoro dai pochi che riescano ad apprezzarlo in tutta la sua sostanza. Dunque viene da chiedersi se questi dieci anni siano tanti o pochi per un’evoluzione che, nel caso degli Ulver, è perennemente in pieno svolgimento.