tag:blogger.com,1999:blog-42403393252923930662024-03-05T07:33:35.880+01:00a thin, nameless noisenot knowing how to express myself without using hidden words.Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06590642245188297044noreply@blogger.comBlogger12125tag:blogger.com,1999:blog-4240339325292393066.post-65034226279542800322015-05-03T18:38:00.000+02:002015-05-03T18:38:40.650+02:00Matteo Salvini, l'allegro alchimista
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">Ricordate quei riti
folkloristici semi-sciamanici praticati dal partito più longevo del
Parlamento Italiano? I raduni a Pontida, le ampolle con l'acqua del
Po, Alberto da Giussano e tutto il resto del caleidoscopico intruglio
fantastorico che sta alla base del mito della “Lega Nord per
l'indipendenza della Padania”. Sì, Padania. Una delle paroline
magiche, insieme a “secessione” o, per i più moderati,
“federalismo”, che hanno tirato avanti il Carroccio dalla
fondazione fino a oggi, passando per alti e bassi. Quando si parla
della Lega Nord si tende sempre a sciorinare giudizi di valore etico
e anche sui nostri maggiori quotidiani nazionali, ahinoi, si stenta a
leggere analisi politiche di valore strategico che potrebbero essere
molto più utili per la comprensione di un movimento politico che è
riuscito a creare un mito nazionale basandosi sui regionalismi (innegabilmente esistenti), in
grado di raccogliere consensi sia a destra che a sinistra. Il
terremoto di Tangentopoli ha certamente aiutato la crescita di un
partito che sin dagli albori si proclamava diverso dai partiti
tradizionali, ma la strategia di fondo del partito è sostanzialmente
basata sul fatto, ormai evidente, che il popolo ormai vota sempre più
con lo stomaco e con le emozioni e sempre meno con il cervello:
“governare è far credere”. Una base fortemente connessa al
partito e l'immagine del partito duro e puro hanno fatto il resto. I
risultati? Nel giro di pochi anni la Lega Nord è entrata nel giro
delle coalizioni che si sono succedute al governo.</span></div>
<span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
</span><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">Tuttavia, analizzando la
cronaca politica italiana degli ultimi anni, è evidente un cambio di
direzione iniziato con la segreteria di Matteo Salvini. L'attuale
segretario ha ereditato un partito in declino, sommerso da scandali
tipici dei partiti italiani che hanno deluso la base e l'elettorato.
Inoltre, in molti anni di governo la Lega non è mai riuscita a
portare il tema dell'indipendenza all'interno delle istituzioni
romane e si è limitata ad azioni di facciata, puramente simboliche.
In poche parole, la Lega non era più quel partito che attirava i
consensi con il “fascino della base” (valore tradizionalmente di
sinistra) o con il mito nazionale padano. Dall'ascesa di Matteo
Salvini come segretario secessione, federalismo e campanilismi
nord-sud sono passati in secondo piano, portando più a destra il
partito a favore di temi di vocazione nazionale ed antieuropeista.
Salvini vuole trasformare il partito locale in un moderno partito
pigliatutto, nazionale e ideologicamente trasversale, approfittando
anche della parabola discendente di Silvio Berlusconi per reclamare
la leadership del centrodestra. La base ha perso il suo ruolo di
bacino principale di consensi, il quale ormai è da trovarsi
nell'elettorato deluso dall'attuale situazione politica, sia a destra
che a sinistra. Ma qual è il ruolo dei militanti di lungo corso
della Lega Nord in tutto questo? Cosa pensa la base, tradizionalmente
molto forte, di questo cambiamento di rotta? I temi che un tempo
rappresentavano lo zoccolo duro dei consensi si sono ormai eclissati
e non sono più i punti principali dell'agenda politica leghista. Le
prime crepe si vedono già in Veneto, con il segretario della Liga
Veneta, Flavio Tosi, espulso dal partito. Ed è proprio in quel caso
che Salvini, da astuto stratega, ha rispolverato secessione e Padania
per calmare le acque. Ma non sappiamo quanto durerà, e non sappiamo
quali risultati potrà raggiungere la Lega Nord del nuovo corso,
basata sull'astuzia e sull'opportunismo politico del suo nuovo
segretario. Astuzia e opportunismo, concetti completamente opposti al
tradizionale modus operandi politico della Lega. Evoluzione
pragmatista o rinnego delle proprie radici, tanto care alla Lega Nord
tradizionale?</span></div>
<span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">
</span><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: Arial,Helvetica,sans-serif;">Spero almeno che qualcuno
abbia almeno il coraggio di ricordare al Don Chisciotte Salvini in
lotta con i mulini a vento dell'Euro che il suo partito nel 1992 votò
a favore per la ratifica del trattato di Maastricht.</span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06590642245188297044noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4240339325292393066.post-77817771271036157992015-03-04T17:45:00.000+01:002015-03-04T17:45:33.892+01:00Perché in Italia non siamo Charlie<div dir="ltr" style="text-align: justify;">
Sensazionalismo, sdegno, terrore e superficialità: un cocktail giornalistico in grado di sterminare con facilità tutti i neuroni predisposti all'analisi e al raziocinio che il Grande Architetto dell'Universo dovrebbe averci donato all'alba dei tempi. Questo cocktail, l'ipocrita specialità della casa di giornali, televisioni e social network, ci viene proposto anche in seguito al dramma dell'attentato al giornale satirico francese Charlie Hebdo. In un giorno si è già detto e scritto di tutto sull'argomento, senza però inserire gli eventi nel loro contesto naturale e sociale.<br />
Un esiguo gruppo di terroristi (cittadini francesi) di matrice islamica riesce a fare irruzione nella sede di un giornale satirico e stermina un'intera redazione per vendicare ciò che ai loro occhi è una grave offesa verso il Profeta. Su ogni rete di comunicazione il dito è puntato verso ciò che la ormai fragile civiltà occidentale, per necessità di un metus hostilis, ha definito anni fa come terrorismo fondamentalista islamico. Sul piano politico in tutta Europa le reazioni sono, giustamente, di unanime condanna e sui social network l'opinione pubblica esprime il proprio disgusto con l'hashtag #jesuischarlie. Ed ecco che, specialmente in Italia, parte lo sciacallaggio mediatico e politico sulla vicenda, trasformando le prime pagine dei giornali e le bacheche dei social network nel festival dell'ipocrisia e dell'agenda setting.<br />
Iprocrisia, perché l'Italia è il Paese meno legittimato in Europa a spendere belle parole sulla libertà di stampa. Basta una breve ricerca sugli eventi della recente storia repubblicana per mettere in luce numerosi casi in cui la libertà d'espressione è stata messa a dura prova con tutti i metodi possibili, omicidio compreso (caso Pecorelli). In tutti i casi si è trattato di interventi squisitamente politici, atti a modificare il ventaglio di possibilità informative a disposizione del cittadino. Tra i casi più recenti c'è sicuramente il diktat bulgaro del 2001: molti politici che allora approvarono il giro di vite sull'informazione, considerando la libertà d'espressione un diritto sacrificabile sull'altare della stabilità di un governo, sono ancora in Parlamento e oggi osano ergersi a paladini della libertà di pensiero. Dobbiamo forse pensare che la libertà di stampa sia un valore da difendere solo se scorre del sangue? Non lo voglio credere. La rivista in questione ha inoltre pubblicato diverse vignette che possono essere facilmente considerate offensive anche per il cristianesimo. Non siamo tutti Charlie. In Italia Charlie Hebdo non sarebbe mai esistita per semplici motivazioni di autocensura sociale preventiva. La forma mentis tipicamente medio-italiana e comune a tutti gli strati sociali, di cui la politica è solo lo specchio, non avrebbe mai difeso una tale libertà di espressione senza la strage che si è verificata.<br />
Agenda setting, perché nell'attuale società interconnessa attraverso Internet, al politico non serve più che un giornale pubblichi in prima pagina le sue parole, può farlo lui stesso sui social network, influenzando l'ordine e l'urgenza delle tematiche politiche dell'elettorato. Il terrorismo islamico è grasso che cola per l'estrema destra islamofoba, che fa leva sulle motivazioni religiose dell'accaduto per giustificare limitazioni di diritti fondamentali e cavalcare l'onda del problema sociale dell'immigrazione, che è tale solamente a causa dell'inettitudine dello Stato nel gestire quello che è un fatto umano. Queste manovre politiche, ineccepibili sul piano strategico elettorale, portano a pensare che l'Islam possa essere un problema, quando invece la religione è solamente il pretesto per destabilizzare le democrazie occidentali. Puntare il dito contro l'immigrazione e le religioni, senza vedere le reali motivazioni essenzialmente politiche ed economiche dietro gli intenti dei terroristi, servirà solo a fare il gioco di Al Qaeda, ISIS e tutti gli altri gruppi che si dichiarano islamici, ma che in realtà puntano semplicemente al potere. Il terrorismo ha il suo seguito popolare nel disagio economico e sociale nato dalla delusione verso una civiltà che si dichiara libera e foriera di valori universali, ma fallisce nel garantire il benessere nelle banlieue parigine così come a Damasco. Non c'è un noi o un loro: parlare di uno scontro di civiltà con l'Islam significa negare l'essenza del sistema di valori della democrazia. Il nemico non è il terrorismo islamico, è il terrorismo puro e semplice. Finché l'opinione pubblica continuerà ad assimilare e far proprie le tendenze xenofobe non farà altro che alimentare le tensioni sociali e non farà mai passi avanti nella lotta al terrorismo, che vuole colpire i nervi scoperti della società. Se l'Occidente è davvero forte come dice di essere, è il momento di dimostrarlo difendendo la cultura della tolleranza; la stessa tolleranza che, attraverso il diritto alla satira, rappresentava l'ossigeno del Charlie Hebdo.</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06590642245188297044noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4240339325292393066.post-37862912127388524122013-08-05T22:21:00.000+02:002013-08-05T22:21:31.084+02:00Recensione: Culture Clash - The Aristocrats
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Quando si sta per
ascoltare un nuovo disco – magari il seguito di un album già
apprezzato in precedenza – si entra in uno stato mentale
particolare, ci si crea intorno un microcosmo di aspettative
costruite soprattutto sull'esperienza musicale precedente. Se poi il
disco in questione è il secondo disco di una band chiamata <i>The
Aristocrats</i>, formata da <i>Guthrie Govan </i>alla chitarra, <i>Marco Minnemann
</i>alla batteria e <i>Bryan Beller </i>al basso, le aspettative sono altissime.
Sono tre musicisti che non hanno alcun bisogno di presentazioni o
elogi particolari: le loro carriere sono ben note anche a molti tra i
non addetti ai lavori e le loro qualità musicali sono indiscusse. Il
disco d'esordio è stato un brusco fulmine a ciel sereno
nell'assopito panorama del progressive rock (anche se tale etichetta
è comunque troppo stretta per una band del genere) e ha sfatato la
leggenda metropolitana secondo la quale un supergruppo non potrà mai
fare un disco veramente bello. Magari ne esce un disco carino, o un
disco che si ascolta con molto piacere, ma non ci si aspetta
minimamente qualcosa che si avvicina al capolavoro.</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<a href="http://cdn.guitarnoize.com/wordpress/wp-content/uploads/2013/05/aristocrats_cultureclash.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="292" src="http://cdn.guitarnoize.com/wordpress/wp-content/uploads/2013/05/aristocrats_cultureclash.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="text-align: justify;">
</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Con queste premesse e
conoscendo il sound caratterizzante del loro primo disco, un secondo
album è la prova del nove. E l'eclettico trio non sbaglia neanche
questo colpo. <i>Culture Clash </i>è un disco di conferma, che vuole
affermare con più forza un nuovo standard nel campo del rock
sperimentale. Se il lavoro omonimo del 2011 si poteva definire
innovativo, il nuovo album non tradisce le aspettative, continuando a
sperimentare seguendo la stessa strada maestra, fatta di influenze e
contaminazioni continue tra rock, jazz, blues, metal e funk. Letto
così può sembrare uno zibaldone di generi poco omogenei, ma la
maestria tecnico-artistica dei tre riesce a fondere tutti gli
elementi di partenza per arrivare a un risultato che è superiore
alla somma delle sue parti. Nonostante le continue minuziosità
tecniche il disco scorre al meglio delle sue possibilità. Le diverse
anime del disco si possono percepire in ogni pezzo e i tre ragazzi
dimostrano di saper suonare con la mente dei jazzisti e la verve dei
rocker. La contaminazione tra i generi è il filo rosso che collega
tutti i brani, coinvolgendo l'ascoltatore con repentini scambi di
matrice, tempi e ritmiche. Non mancano le sfuriate blues/country come
<i>Louisville Stomp </i>(in cui il tocco di Guthrie riveste un ruolo
fondamentale), i pezzi vicini al jazz come la title track e <i>Desert
Tornado </i>e i brani caratterizzati da una ben presente vena rock/metal
come <i>Ohhh Nooo </i>(sì, il titolo è questo) e <i>Gaping Head Wound</i>. La
mosca bianca, il brano che si accomoda con grazia al di fuori del
contesto (sempre che in un disco così vasto si possa parlare di un
contesto) è <i>Dance of the Aristocrats</i>, un pezzo vagamente new wave
elettronica anni '80 in stile New Order rivisitato nelle cifre
stilistiche del trio.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
Anche solo alla fine del
primo ascolto si comprende facilmente che questi tre alchimisti hanno
tra le mani la pietra filosofale della sperimentazione. <i>Culture
Clash</i>, nel confermare la grandezza artistica di questo giovane
progetto, riesce comunque ad innovare ancora il sound della band
senza appesantirlo. Se la curva evolutiva è questa, questo trio ha
ancora moltissimo da mostrare al suo pubblico.</div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<br />
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;">
<iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='320' height='266' src='https://www.youtube.com/embed/ygdtsQyLM8Y?feature=player_embedded' frameborder='0'></iframe></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br />
</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06590642245188297044noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4240339325292393066.post-55036544192083851282012-09-29T18:41:00.000+02:002012-09-29T19:34:28.304+02:00Recensione: Muse - The 2nd Law<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Ci sono poche altre cose
al mondo che posso sopportare meno di un gruppo capace solo di
sfornare album completamente uguali tra loro. La sperimentazione è
il motore primo dell'arte e del nuovo, il movimento capace di
superare se stesso. È nell'eclettismo che, specialmente ai giorni
nostri, nascono le migliori opere d'arte, non solo nel campo
musicale. Tuttavia non sempre si riesce a ballare con leggiadria sul
sottile filo che separa una sperimentazione geniale e un lavoro sotto
la media. Mi duole ammetterlo, ma in questi casi rientra anche
l'ultima fatica dei Muse.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<a href="http://c438342.r42.cf2.rackcdn.com/wp-content/uploads/2012/08/muse-2nd-law-artwork5.jpeg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://c438342.r42.cf2.rackcdn.com/wp-content/uploads/2012/08/muse-2nd-law-artwork5.jpeg" width="320" /></a>The 2<sup>nd</sup> Law è
un album molto ambizioso e rispetta certamente le dichiarazioni della
band precedenti l'uscita del disco. Come ampiamente annunciato,
sarebbe stato una rottura forte con gli album passati e così è
stato. In ogni album dei Muse ci sono sempre determinati elementi che
lo rendono diverso dal precedente senza violare la matrice
fondamentale della loro musica che si percepisce in ogni brano della
band. The 2<sup>nd</sup> Law non rappresenta un'eccezione a questa
regola. In certi punti riprende i vecchi lavori dei Muse, come
Showbiz e Absolution, in altri si avvicina al pop di The Resistance,
in altri strizza l'occhio a Skrillex e al dubstep. Nonostante la
miscela di generi non propriamente vicini, l'album mantiene la sua
integrità, anche se sin dal primo ascolto si sente la mancanza delle
caratteristiche che rendono un album un capolavoro. Insomma, questo
disco sicuramente non è fatto per timbrare il cartellino della
major, però non credo di essere l'unico ad aver avuto aspettative
maggiori circa quest'uscita.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
L'album è molto
frammentato da brani ottimi e altri che rasentano la sufficienza.
Supremacy è un brano che si avvicina molto alla musicalità di
Showbiz e Animals (a mio parere il brano più riuscito dell'album)
sarebbe stato perfetto anche in Absolution. Buona la prova di
Christopher Wolstenholme come autore e voce principale in Save me e
Liquid State, due brani che raccontano la lotta di Chris contro
l'alcolismo. La sua voce si adatta benissimo al mood di Save Me, che
ricorda molto gli Explosions in the Sky. Forse Liquid State è un
brano che, a causa delle sue caratteristiche molto più rock del
brano precedente, sarebbe stato più adatto per Bellamy, ma la prova
è comunque superata.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
Panic Station è un brano
puramente funky e in questo caso Bellamy &co hanno veramente
creato qualcosa di ottimo. È un brano molto anni '80, a metà tra i
Queen di Hot Space e il classico pop di Michael Jackson. Surivival,
colonna sonora delle Olimpiadi di Londra 2012, è un buon brano che
però in certi punti risulta fin troppo barocco e pomposo. Gli altri
brani risultano tutti sulla sufficienza e non hanno un grosso impatto
sullo scorrere del disco. I veri punti di domanda del disco sono
brani come Madness, Explorers e Big Freeze. Il primo è un brano
molto elettronico e pop, però manca di consistenza e non ha un
grande impatto. Big Freeze sarebbe stato un brano perfetto, se a
suonarlo fossero stati gli U2. A chiusura dell'album c'è una suite
composta da due parti, Unsustainable e Isolated System. La prima è
quella che per molti è stata la grande pietra dello scandalo di
questo disco. Il brano è puramente dubstep, con i soliti archi (fin
troppo presenti in tutto il disco) ed è praticamente strumentale.
L'idea di inserire elementi dubstep è una scelta molto coraggiosa ed
interessante, ma a mio parere è stata sfruttata male. Il problema
del brano non è il dubstep in se, anche se molti puristi appena lo
sentono nominare lo classificano come rumore e lo evitano a
prescindere. Il problema sta proprio nella struttura armonica del
brano, troppo banale per essere parte di un brano dei Muse. Insomma,
dubstep sì, ma dal dubstep made by Muse mi aspettavo molto di più.
Il brano di chiusura, Isolated System, ricorda molto l'elettronica
dei Royksopp ma non riesce ad avere un'identità propria e non lascia
la sensazione di vuoto tipica di una buona endind track.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
La sensazione di vuoto
però la si avverte durante tutto il disco, anche dopo un secondo
ascolto. È poco consistente. Qualche brano ben riuscito in mezzo a
tanti altri che lasciano molto spaesati. Però mi piace considerarlo
come un album di trasformazione, un lavoro intermedio caratterizzato
da ottimi spunti che però non sono stati sfruttati al meglio. I
classici fanboy che vogliono altri cento Origin of Symmetry non
saranno certamente contenti, ma anche un ascoltatore più “evoluto”
troverà molti nei in questo disco. Un disco a metà tra il passo
falso e il buon lavoro.</div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='320' height='266' src='https://www.youtube.com/embed/IqFZGnfMLMw?feature=player_embedded' frameborder='0'></iframe></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<br /></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06590642245188297044noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4240339325292393066.post-45561945689384833162012-04-13T18:57:00.001+02:002012-04-13T18:57:25.790+02:00<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjlWjeYvU-EZCTKhf9cL-ncifhahwdCtz5mClplBc7QEtDTeFiNDUIpvemgXWgTlk7YWMe8oBvtK95UId_pttGIZqX-LVmqf_uXZVtmcT7rBBPbl7drMqwckNA-hvp22JHnEWxDAomHK1HV/s1600/2001_odissea_nello_spazio.PNG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="315" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjlWjeYvU-EZCTKhf9cL-ncifhahwdCtz5mClplBc7QEtDTeFiNDUIpvemgXWgTlk7YWMe8oBvtK95UId_pttGIZqX-LVmqf_uXZVtmcT7rBBPbl7drMqwckNA-hvp22JHnEWxDAomHK1HV/s640/2001_odissea_nello_spazio.PNG" width="640" /></a></div>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06590642245188297044noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4240339325292393066.post-17523506340021891592012-01-12T20:11:00.000+01:002012-03-15T01:36:48.830+01:00le luci della centrale elettrica. live report @ linea notturna, cagliari, 9 dicembre 2011<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">“Sono tempi bui per la
musica italiana”. È questo il solito mantra che gli addetti ai
lavori ripetono da anni, ormai. Un'affermazione caustica e diretta,
che sembra non lasciare possibilità di replica. Tuttavia è
necessario conoscere limiti e pregi della scena musica italiana
odierna: ovviamente non si parla di Sanremo, dei concerti negli stadi
e delle grandi case discografiche. Si parla delle demo a tiratura
limitata, dei concerti nei locali di provincia, del contatto
pressoché diretto con l'artista. Mentre la grande maggioranza di
coloro che si dichiarano appassionati di musica galleggiano sulla
superficie, è nelle profondità, nella dimensione più piccola della
provincia che si possono trovare molti prodotti artistici innovativi,
degni di tale definizione. Le luci della centrale elettrica (così si
chiama il progetto musicale del cantautore Vasco Brondi) è qualcosa
che appartiene a questa piccola dimensione, che poi tanto piccola non
è. La creatura musicale di Vasco Brondi è nata quasi cinque anni
fa, è relativamente giovane, ma ha già raggiunto un livello
notevole, sia per la validità artistica, sia in termini di successo.
I punti di forza di questo progetto sono fondamentalmente due,
strettamente correlati tra loro: la forza evocativa dei testi e gli
arrangiamenti musicali piuttosto spogli. Ascoltando qualsiasi brano
si può percepire ciò che l'artista vuole esattamente trasmettere.
Le parole dei testi diventano immagini della vita urbana di tutti i
giorni in cui tutti noi ci riconosciamo. Nonostante le brevi storie e
i frammenti di vita raccontati da Vasco siano molto personali,
sentimentali e introspettivi, diventano espressione di tutta
un'intera generazione, piegata dalla spietata vita urbana, dalla
crisi economica, dai licenziamenti e dal precariato. A questa
ricchezza lirica si contrappone la risicata cornice musicale, voluta
molto probabilmente per sottolineare la forza dei testi: la grande
importanza dell'arrangiamento sta proprio nel suo essere così
minimale e marginale.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Il 9 Dicembre 2011 è la
notte del concerto delle Luci a Cagliari, al Linea Notturna.
Nonostante le premesse non siano le migliori (12 euro di prevendita,
prezzo non propriamente proletario, e un'ora e un quarto di ritardo)
il concerto si rivela sorprendente. Ad accompagnare Vasco e la sua
chitarra, sul palco ci sono l'essenziale: basso, chitarra e
percussioni. Devo ammettere che sono rimasto piacevolmente sorpreso:
il cantautore ferrarese dimostra di saperci fare anche con
arrangiamenti diversi da quelli del disco, molto più percussivi ma
comunque essenziali. Oltre ai pezzi ormai classici dal primo e dal
secondo album come “Piromani”, “Cara Catastrofe”, “La
gigantesca scritta COOP” e “La lotta armata al bar”, Vasco ha
presentato il nuovo brano “C'eravamo abbastanza amati” e ha
suonato due cover, ottimamente riarrangiate: “Emilia Paranoica”
dei CCCP e “Summer on a solitary beach” di Franco Battiato.
Ottima la risposta del pubblico, che ha dimostrato di apprezzare
moltissimo anche i minimi aspetti scenici della serata.</span></div>
<div style="margin-bottom: 0cm; text-align: justify;">
<span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Sono serate come queste
che ti permettono di capire che nonostante tutto la musica italiana
ha ancora molto da proporre e i giovani talenti come Vasco possono
dire la loro. A gran voce.</span></div>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06590642245188297044noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4240339325292393066.post-69446240314792016722011-11-16T15:41:00.001+01:002011-11-16T15:42:45.623+01:00La cultura è ancora il faro dell'umanità?<br />
<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Ogni atmosfera culturale è profondamente legata alla società nella quale si sviluppa. Questi due contesti nei quali viviamo si influenzano l’un l’altro, dando vita a diverse situazioni storiche sempre diverse che a loro volta modificano i nostri modi di vivere, le nostre abitudini, le nostre concezioni e i nostri punti di vista. Un grande cambiamento culturale ha enormi ripercussioni sociali, così come le mutazioni sociali influenzano la cultura di quel determinato periodo. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">La società odierna, nella quale noi viviamo, è definita come società di massa. Essa ha le sue radici nei profondi cambiamenti che si sono verificati nel secondo dopoguerra. Il cosiddetto “boom economico” che ha introdotto l’Italia nel novero delle potenze industriali europee ha portato il benessere economico in moltissime famiglie italiane. Si sono diffusi tutti i beni di consumo, ovvero tutti quei beni non essenziali che concorrono a un miglioramento della qualità della vita. La comunicazione televisiva inizia il suo operato a metà degli anni ’50, svolgendo una funzione storicamente molto importante: una società contadina caratterizzata da un alto tasso di analfabetismo e del tutto estranea al contesto nazionale ed internazionale, viene trasformata in una società industriale alfabetizzata e scolarizzata dove ogni individuo conosce (o almeno ha la possibilità di conoscere) il contesto in cui vive. Insomma, la televisione in quegli anni ha dato un forte impulso all’unificazione linguistica dell’Italia, anche se a scapito di tutto il preziosissimo mondo contadino prenazionale e preindustriale costituito da tradizioni, dialetti e altri tratti fondamentali del patrimonio culturale locale. Secondo Pier Paolo Pasolini, l’adeguamento totale e forzato di questi modelli culturali a un modello culturale unico, definito dall’intellettuale come “spietato totalitarismo”, danneggia enormemente il patrimonio culturale italiano. La “cultura” della civiltà dei consumi, oltre a distruggere le piccole realtà culturali, depaupera enormemente l’espressività della comunicazione eliminando i dialetti. Inoltre, vengono creati bisogni artificiali, necessari per il corretto funzionamento industriale (e per l’arricchimento dei soliti “pochi”). Questi bisogni sono indotti dalla pubblicità, che pressa psicologicamente l’uomo-massa verso determinate scelte di consumo spesso non necessarie. </span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"><br /></span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Non solo la pubblicità condiziona il modo di pensare dell’uomo: le trasmissioni televisive sono in genere povere di contenuto culturale e danneggiano l’identità delle arti, coadiuvando il processo di eliminazione della parte più interiore e riflessiva dell’uomo. Il tempo per ogni riflessione interiore non è produttivo e per questo è considerato inutile dalla “Civiltà del Progresso”, dove conta solo ciò che è monetizzato. La ricerca spasmodica dell’utile economico e del guadagno ha travolto anche la cultura, che viene riorganizzata secondo i criteri tipici dell’industria. Un libro, o un qualsiasi prodotto intellettuale come un disco musicale, viene considerato come merce dalla quale bisogna ricavare un maggior utile possibile. Questi processi economici, insieme alla pubblicità e ai mass media, alimentano questa mercificazione dell’Arte e del Sapere, che confluisce in un’unica grande cultura di massa. Non esiste più una cultura “alta”, destinata a pochi eruditi, e una bassa, rappresentata dalla saggezza popolare o da opere di minor rilievo, destinata al popolo più semplice: la cultura di massa è appetibile a tutte le classi sociali, senza alcuna distinzione. I libri possono essere trovati non solo nelle librerie, ma anche nelle edicole e perfino sugli scaffali dei supermercati. Una tale mercificazione sembrerebbe capace di annientare la funzione portatrice di valori dell’Arte, ma fortunatamente non è così. Come ci spiega Umberto Eco in un suo saggio, la cultura di massa non ha eliminato la cultura “alta”, ma ha solo raggiunto coloro che in precedenza non avevano la possibilità di accedere ad alcuna forma di cultura. Purtroppo la cultura con cui entriamo in contatto è spesso superficiale, di scarsa qualità, priva di valori profondi e prodotta solamente ai fini dell’intero guadagno economico. Sembrerebbe che al giorno d’oggi la Cultura sia stata immolata sul sacro altare del Dio Denaro, in nome del progresso e del guadagno. Fortunatamente non è così: la cultura alta, quella veramente utile al progresso e alla felicità dell’uomo, continua a sopravvivere. Le nostre diverse sensibilità rispetto alla cultura (quella veramente degna di esser definita tale) ci permettono di selezionare tutta l’enorme produzione culturale che ci viene proposta, individuando le opere portatrici di veri valori artistici tra le tante deludenti pseudo-opere. </span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"><br /></span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">La distribuzione dell’Arte come prodotto consente a tutti di attingere alla cultura vera, ma la maggior parte delle persone ha un rigetto verso le forme d’Arte più impegnative e importanti: ciò mantiene la cultura vera come cultura elitaria, destinata ai pochi che la vogliono accogliere nelle loro vite. La cultura è l’unico mezzo con un potenziale tale da permetterci di poter davvero cambiare questo mondo e renderlo più giusto. A una società così strettamente legata al denaro e ai beni materiali, dobbiamo opporre una resistenza ferrea fatta di cultura, Arte e conoscenza. Non dobbiamo assolutamente permettere che i valori immortali dell’Arte soccombano sotto il fuoco incessante di questa società senza identità culturale e senza spirito artistico. La cultura è la prima pietra sulla quale costruire un mondo dove l’uomo possa progredire verso forme più evolute di civiltà e riscoprire la sua identità artistica e spirituale. Se vogliamo vivere in un mondo dove ogni essere umano abbia la possibilità di realizzarsi (non solo materialmente, ma anche spiritualmente), dobbiamo necessariamente riorganizzare la gerarchia dei valori nella società. Ogni espressione dello spirito umano può condurci verso il vero progresso, fatto non solo di denaro, ma anche di benessere e felicità.</span></div>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06590642245188297044noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4240339325292393066.post-15986464090880757392011-11-14T14:06:00.001+01:002011-11-15T16:55:47.273+01:00Il dualismo politico destra-sinistra<br />
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<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"><i>Il dualismo politico destra-sinistra: passato, presente e futuro del bipolarismo italiano.</i></span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">I grandi cambiamenti sociali che dalla Rivoluzione Francese in poi hanno portato all'ingresso delle masse nella vita politica di molti paesi occidentali hanno creato la netta contrapposizione ideologica tra destra e sinistra, all'interno della quale ancora oggi si muove il pensiero politico delle masse. L'utilizzo di questa terminologia per indicare queste due tendenze politiche risale alla Rivoluzione Francese: nell'Assemblea degli Stati Generali i conservatori (ovvero i nobili e il clero) sedevano a destra dell'aula e i rappresentanti del Terzo Stato, i giacobini (ovvero la nascente borghesia), che avevano come obiettivo l'istituzione di una repubblica democratica che tenesse conto delle libertà individuali, sedevano a sinistra.</span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Con l'ingresso delle masse in politica queste posizioni sono ovviamente cambiate, pur mantenendo lo stesso schema strutturale. I conservatori, ovviamente, non difendono più sistemi come la monarchia assoluta francese e ai giacobini si sono sostituiti i moderni partiti di massa socialdemocratici. È più o meno su questa falsariga che si muovono i moderni sistemi bipolaristi vigenti nella maggior parte delle democrazie occidentali.</span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Secondo la tesi avvalorata dal filosofo Norberto Bobbio, la differenza principale tra destra e sinistra è il diverso atteggiamento rispetto al concetto di uguaglianza, così come la differenza tra moderati ed estremisti di entrambi gli schieramenti è il differente approccio all'idea di libertà. Secondo questo criterio è possibile raggruppare tutte le dottrine politiche in quattro gruppi fondamentali, due di sinistra e due di destra. L'estrema sinistra propugna l'uguaglianza economica ma con un sistema statale autoritario, mentre il centro-sinistra in genere propone una maggiore uguaglianza economica conciliabile con il rispetto delle libertà individuali. A destra invece si possono identificare il centro-destra, che all'eguaglianza economica preferisce quella giuridica nel pieno rispetto delle istituzioni democratiche, e la destra estrema, nella quale si collocano ideologie antidemocratiche e illiberali che hanno come massimo esempio storico fascismo e nazismo. Muovendosi ancora all'interno di questo schema generale, ma scendendo più sul piano della politica concreta, destra e sinistra si differenziano per le posizioni diametralmente opposte sui temi delle libertà economiche e dei diritti civili. Questa differenza di programma politico ha spesso raccolto l'opinione pubblica in due grandi schieramenti contrapposti, creando il sistema bipolarista tipico delle grandi democrazie occidentali. Anche nel caso italiano è riscontrabile questa tendenza, seppur con diversa intensità. Nell'Italia appena riunificata di fine Ottocento il dualismo tra Destra e Sinistra Storica è rimasto un concetto piuttosto teorico, salvo rare eccezioni. Alla linea dura del contrasto politico sono prevalsi il trasformismo e la tendenza tipici dei governi di Depretis o Giolitti. In seguito, l'impossibilità di distinguere sul piano politico la destra e la sinistra portarono alla supremazia della prima sulla seconda. L'ex socialista Mussolini divenne dittatore fascista anche grazie al suo atteggiamento rivoluzionario tipico della sinistra, posto però al servizio di ideologie autoritarie e nazionaliste tipiche della destra.</span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Negli anni della Prima Repubblica il bipolarismo era rappresentato dalla Democrazia Cristiana, sempre maggioritaria, e dal Partito Comunusta Italiano, uno tra i più forti partiti comunisti d'Europa. Tuttavia il “fattore K” (la vicinanza del partito al governo sovietico di Mosca) e la strategia della tensione, attuata da molte forze più o meno oscure del nostro paese per allontanare l'opinione pubblica dall'ideologia comunista, impedirono al PCI di presentarsi come una valida alternativa di governo. Nei primi anni Novanta, la maxi inchiesta Tangentopoli mise a nudo tutto il marciume che si celava dietro questo sistema, rinnovando quasi completamente la classe dirigente italiana. Nuovi uomini fondarono nuovi partiti, come Forza Italia, che modificarono radicalmente il modus operandi della politica italiana.</span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Il bipolarismo italiano dell'ultimo ventennio non è paragonabile ad altri sistemi bipolaristi occidentali. Come sostiene Marcello Veneziani, il sistema bipolarista italiano è aperto a due soluzioni: o un nuovo rafforzamento della distanza tra destra e sinistra o la completa dissoluzione del contrasto politico. Però per provare a ipotizzare la svolta che prenderà il nostro sistema politico non possiamo prescindere da altre variabili che stanno entrando in gioco e rischiano di portare il Paese verso la degenerazione politica totale. La prassi politica ormai tipicamente italiana si basa più sui protagonisti della politica che sulle ideologie e sulla loro applicazione pratica ai problemi. L'individualismo è uno dei cancri della nostra politica e sta portando la nostra classe dirigente a perdere sempre di più il contatto con la realtà e a utilizzare le istituzioni per fini personali disinteressandosi delle reali problematiche del paese. Questa degenerazione sta investendo sia la destra che la sinistra, allontanando le masse dall'impegno politico (che viene visto come qualcosa di “sporco” e poco limpido) e ampliando la distanza tra la classe politica e i cittadini.</span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Le domande “Cos'è la destra? Cos'è la sinistra?” che si pone Giorgio Gaber in una sua canzone sono più che lecite. Purtroppo affermare che la differenza tra destra e sinistra sia sempre più sottile non è fare del puro qualunquismo, ma è la considerazione di un dato di fatto. É necessario che ogni cittadino si impegni attivamente nella vita politica per poter porre nuovamente i problemi del Paese nelle agende dei nostri politici. Al serio impegno politico dei cittadini va affiancato il rinnovamento dei concetti di destra e sinistra. Prima di riformare la politica bisogna rinnovare il modo di pensare la politica stessa, lasciando che ogni proposta di azione politica sia libera da ogni implicazione ideologica. La nostra società è in continuo cambiamento e non possiamo ragionare con logiche politiche vecchie di secoli. Purtroppo non siamo ancora ponti per una politica che metta al centro del suo operato il cittadino e non le ideologie astratte e spesso fuorvianti: per questo nel prossimo futuro non dobbiamo eliminare destra e sinistra come categorie di interpretazione politica, ma riformarli come concetti adatti alla società del nostro tempo, semplificando l'accesso all'attività politica, ponendo i problemi reali del Paese al centro dell'attenzione e salvaguardando la democratica diversità di opinioni.</span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Nel conseguente clima disteso di dialogo politico costruttivo potremo, finalmente, regalare un futuro migliore a questo Paese.</span></div>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06590642245188297044noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4240339325292393066.post-14027612999526431152011-11-13T23:42:00.000+01:002012-03-15T01:37:06.619+01:00Recensione: Pink Floyd - The Dark Side of the Moon<br />
<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">“The Dark Side Of The Moon” è un album importantissimo nella storia della musica del Novecento. Esso rappresenta una pietra miliare della storia del rock sotto vari aspetti, ed è uno degli album più venduti della storia, con 45 milioni di copie vendute dal 1973 a oggi.</span></div>
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<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">É un lavoro ricco di contenuti, perfettamente elaborato e prodotto (grazie al lavoro di ingegneria musicale di Alan Parsons), anche se inizia a distaccarsi dalle opere precedenti del gruppo, caratterizzate da un impatto più psichedelico e da un target meno ampio. Con quest’album il gruppo britannico riesce a conciliare le aspettative dei fan più affezionati alla psichedelia del primo periodo con l’idea di creare un album capace di raggiungere un pubblico più vasto. A questo fine, i Pink Floyd accantonarono la forma della lunga suite a favore della canzone singola, anche se in questo capolavoro tutte le tracce sono ottimamente collegate tra loro, tanto da sembrare un unico, lungo e splendido viaggio fatto di musica e parole. Se si vuole apprezzare il più possibile quest’opera, è necessario ascoltarla per intero e nella giusta sequenza per non intaccare la continuità, uno dei fulcri di questo lavoro. I punti di forza di quest’album sono i testi, tutti ad opera del bassista Roger Waters, e il complesso lavoro di composizione, registrazione e produzione.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">La copertina è una delle più famose nella storia del rock. Essa raffigura, su uno sfondo completamente nero, un prisma colpito da un raggio di luce bianca che si scompone nello spettro dei colori dell'iride.</span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"><div style="text-align: justify;">
L’album si apre con “Speak To Me”, che funge da overture dell’album. È un particolare collage di suoni che richiamano esplicitamente a tutte le altre tracce dell’album. L’obiettivo è di dare all’ascoltatore le sensazioni degli istanti pre-nascita, che culmina nell’attacco della traccia successiva, “Breathe”, che rappresenta la nascita vera e propria. È un brano lento molto armonico, nel quale la slide guitar di Gilmour, sotto la direzione di Parsons, crea un tappeto sonoro quasi onirico. Il testo è un invito a non lasciarsi abbandonare al ritmo frenetico della vita e a riposarsi quando necessario. La traccia seguente è “On The Run”, un brano strumentale dal ritmo semplice, veloce e ipnotico. La canzone è ispirata alla paura di morire in viaggio, che per un gruppo come i Pink Floyd è perenne, essendo spesso in viaggio per i frequenti tour. Il pezzo successivo è uno dei più famosi del rock, intitolato “Time”. Questo brano è famosissimo per il suo assolo, secondo molti uno dei migliori assoli firmati David Gilmour, e per i numerosi effetti sonori, ancora una volta frutto del lavoro di Parsons. Il tema lirico della canzone è un tema caro anche a molti poeti antichi e moderni: la fugacità della vita. La profondità con cui è trattato l’argomento permette di collocare anche questo testo tra tutti i più importanti capolavori poetici su quest’argomento. La quinta traccia è “The Great Gig In The Sky”, famosissima per il suo assolo vocale, eseguito da Clare Torry. La canzone seguente è una delle più famose nella storia del quartetto londinese, “Money”. Il pezzo è in 7/4, fatto abbastanza insolito per il genere all’epoca, ed è caratterizzato da un riff di basso in stile blues e una sezione jazzistica con un assolo di sax. La canzone è una polemica rivolta al ruolo del denaro nella società odierna: esso è la radice di tutti i mali, e porta gli uomini gli uni contro gli altri, spingendoli alla follia (tema ricorrente in tutto l’album). La settima traccia è “Us And Them”, un pezzo lento e soft, reso quasi ipnotico dal tappeto sonoro ottenuto con un organo hammond. Il tema della canzone è l’avversione alla guerra e alla povertà. Il titolo della canzone successiva è “Any Colour You Like”, un pezzo strumentale, caratterizzato dalle frequenti improvvisazioni di chitarra elettrica e sintetizzatore. La struttura del brano è alterata nelle ultime battute per introdurre il brano successivo, “Brain Damage”. Questo pezzo è inizialmente delicato per poi sfociare nel ritornello esplosivo. Il tema principale del testo è la pazzia, con un evidente riferimento all’ex leader del gruppo, Syd Barrett (deceduto quattro anni fa). A questa canzone è legato il brano che chiude l’album, “Eclipse”. Il pezzo, strutturalmente, è simile al precedente, ma il testo contiene probabilmente il messaggio di un’amara speranza di potercela fare. Il brano si chiude con lo stesso battito cardiaco, che chiude il cerchio e rafforza il filo di continuità presente lungo tutta l’opera.</div>
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<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"><div style="text-align: justify;">
“The Dark Side Of The Moon” è un’opera complessa, ricco di riflessioni introspettive, che a distanza di trentasette anni dalla sua uscita, continua a emozionare ogni ascoltatore. Ha affascinato diverse generazioni di ascoltatori e continuerà a farlo perché, come ogni grande opera d’arte, si fa portatrice di temi universali.</div>
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<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"><br /></span><br />
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<iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='320' height='266' src='https://www.youtube.com/embed/8tYXhBS5Ds8?feature=player_embedded' frameborder='0'></iframe></div>
<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"><br /></span>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06590642245188297044noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4240339325292393066.post-88685191451109064492011-11-12T14:40:00.000+01:002011-11-15T00:05:41.057+01:00Recensione: Verdena - WOW<br />
<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">“The Dark Side Of The Moon” è un album importantissimo nella storia della musica del Novecento. Esso rappresenta una pietra miliare della storia del rock sotto vari aspetti, ed è uno degli album più venduti della storia, con 45 milioni di copie vendute dal 1973 a oggi.</span><br />
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<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">É un lavoro ricco di contenuti, perfettamente elaborato e prodotto (grazie al lavoro di ingegneria musicale di Alan Parsons), anche se inizia a distaccarsi dalle opere precedenti del gruppo, caratterizzate da un impatto più psichedelico e da un target meno ampio. Con quest’album il gruppo britannico riesce a conciliare le aspettative dei fan più affezionati alla psichedelia del primo periodo con l’idea di creare un album capace di raggiungere un pubblico più vasto. A questo fine, i Pink Floyd accantonarono la forma della lunga suite a favore della canzone singola, anche se in questo capolavoro tutte le tracce sono ottimamente collegate tra loro, tanto da sembrare un unico, lungo e splendido viaggio fatto di musica e parole. Se si vuole apprezzare il più possibile quest’opera, è necessario ascoltarla per intero e nella giusta sequenza per non intaccare la continuità, uno dei fulcri di questo lavoro. I punti di forza di quest’album sono i testi, tutti ad opera del bassista Roger Waters, e il complesso lavoro di composizione, registrazione e produzione.</span><br />
<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">La copertina è una delle più famose nella storia del rock. Essa raffigura, su uno sfondo completamente nero, un prisma colpito da un raggio di luce bianca che si scompone nello spettro dei colori dell'iride.</span><br />
<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">L’album si apre con “Speak To Me”, che funge da overture dell’album. È un particolare collage di suoni che richiamano esplicitamente a tutte le altre tracce dell’album. L’obiettivo è di dare all’ascoltatore le sensazioni degli istanti pre-nascita, che culmina nell’attacco della traccia successiva, “Breathe”, che rappresenta la nascita vera e propria. È un brano lento molto armonico, nel quale la slide guitar di Gilmour, sotto la direzione di Parsons, crea un tappeto sonoro quasi onirico. Il testo è un invito a non lasciarsi abbandonare al ritmo frenetico della vita e a riposarsi quando necessario. La traccia seguente è “On The Run”, un brano strumentale dal ritmo semplice, veloce e ipnotico. La canzone è ispirata alla paura di morire in viaggio, che per un gruppo come i Pink Floyd è perenne, essendo spesso in viaggio per i frequenti tour. Il pezzo successivo è uno dei più famosi del rock, intitolato “Time”. Questo brano è famosissimo per il suo assolo, secondo molti uno dei migliori assoli firmati David Gilmour, e per i numerosi effetti sonori, ancora una volta frutto del lavoro di Parsons. Il tema lirico della canzone è un tema caro anche a molti poeti antichi e moderni: la fugacità della vita. La profondità con cui è trattato l’argomento permette di collocare anche questo testo tra tutti i più importanti capolavori poetici su quest’argomento. La quinta traccia è “The Great Gig In The Sky”, famosissima per il suo assolo vocale, eseguito da Clare Torry. La canzone seguente è una delle più famose nella storia del quartetto londinese, “Money”. Il pezzo è in 7/4, fatto abbastanza insolito per il genere all’epoca, ed è caratterizzato da un riff di basso in stile blues e una sezione jazzistica con un assolo di sax. La canzone è una polemica rivolta al ruolo del denaro nella società odierna: esso è la radice di tutti i mali, e porta gli uomini gli uni contro gli altri, spingendoli alla follia (tema ricorrente in tutto l’album). La settima traccia è “Us And Them”, un pezzo lento e soft, reso quasi ipnotico dal tappeto sonoro ottenuto con un organo hammond. Il tema della canzone è l’avversione alla guerra e alla povertà. Il titolo della canzone successiva è “Any Colour You Like”, un pezzo strumentale, caratterizzato dalle frequenti improvvisazioni di chitarra elettrica e sintetizzatore. La struttura del brano è alterata nelle ultime battute per introdurre il brano successivo, “Brain Damage”. Questo pezzo è inizialmente delicato per poi sfociare nel ritornello esplosivo. Il tema principale del testo è la pazzia, con un evidente riferimento all’ex leader del gruppo, Syd Barrett (deceduto quattro anni fa). A questa canzone è legato il brano che chiude l’album, “Eclipse”. Il pezzo, strutturalmente, è simile al precedente, ma il testo contiene probabilmente il messaggio di un’amara speranza di potercela fare. Il brano si chiude con lo stesso battito cardiaco, che chiude il cerchio e rafforza il filo di continuità presente lungo tutta l’opera.</span><br />
<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"><br /></span><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">“The Dark Side Of The Moon” è un’opera complessa, ricco di riflessioni introspettive, che a distanza di trentasette anni dalla sua uscita, continua a emozionare ogni ascoltatore. Ha affascinato diverse generazioni di ascoltatori e continuerà a farlo perché, come ogni grande opera d’arte, si fa portatrice di temi universali.</span><br />
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<br /><object width="320" height="266" class="BLOGGER-youtube-video" classid="clsid:D27CDB6E-AE6D-11cf-96B8-444553540000" codebase="http://download.macromedia.com/pub/shockwave/cabs/flash/swflash.cab#version=6,0,40,0" data-thumbnail-src="http://2.gvt0.com/vi/y_wFx4TKNbI/0.jpg"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/y_wFx4TKNbI&fs=1&source=uds" />
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<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"><br /></span>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06590642245188297044noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4240339325292393066.post-85305616148246167122011-11-11T19:15:00.000+01:002011-11-11T19:24:28.378+01:00Recensione: Marlene Kuntz - Ricoveri virtuali e sexy solitudini<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">I Marlene Kuntz sono uno dei gruppi più importanti nel panorama del rock alternativo italiano. Con i primi dischi come “Catartica”, usciti a metà degli anni ’90, coniarono uno stile musicale assolutamente originale, fatto da arrangiamenti tra il noise rock e l’alternative e da testi, carichi di rabbia giovanile ma estremamente curati e particolari. Con il passare del tempo questo stile è naturalmente evoluto verso un rock più melodico e meno dissonante, fino ad arrivare all’album del 2007 “Uno”, dal piglio decisamente cantautorale. I Marlene Kuntz sono visti dalla maggior parte del pubblico in lento declino, come altri gruppi a loro coevi come gli Afterhours. Ma più che di declino si dovrebbe parlare di una continua maturazione artistica e di un’evoluzione del sound naturale: “Ricoveri virtuali e sexy solitudini” è uscito da pochi mesi e ha già creato parecchie polemiche. Il disco è un leggero ritorno al rock degli esordi, con però pochissimi richiami noise che caratterizzarono i primi dischi, avvertibili solo in “Ricovero virtuale” e “Pornorima”, due brani caratterizzati da testi molto diretti ed espliciti. Il primo è una feroce invettiva contro Internet. Secondo Cristiano Godano (frontman della band) Internet, dando la possibilità di scaricare enormi quantità di musica gratis, distrugge il valore che la musica stessa possedeva prima dell’avvento della Rete. Altri pezzi come “Paolo anima salva”, “Orizzonti” e “Un piacere speciale” sono brani rock supportati da ritornelli accattivanti e catchy che scorrono tranquilli tenendo alto il livello generale del disco. Ma i pezzi migliori dell’album sono senza alcun dubbio quelli più oscuri ed introspettivi, quelli più musicalmente e liricamente intensi. “Vivo” è un crescendo travolgente e drammatico che sicuramente colpisce l’attenzione di ogni ascoltatore. “Io e me” è un brano dall’impianto compositivo vicino al trip hop, che spezza leggermente il ritmo generale dell’album. Il pezzo più liricamente impegnato dell’album è senza dubbio “L’artista”. Dal punto di vista sonoro è un brano quasi cantautorale: inizia con leggeri armonici e arpeggi e continua a ritmo sostenuto per sfociare in un finale intenso ma morbido. Altri pezzi come “L’idiota”, “Oasi” e “Scatti” sono liricamente impeccabili, ma musicalmente non stupiscono l’ascoltatore. </span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"><br />
</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Nonostante tutte le critiche che certamente arriveranno, questo disco è decisamente degno della band che l’ha creato. Però è necessario liberarsi da ogni pregiudizio e non fare paragoni con “Catartica” o “Il vile”, tenendo presente che l’evoluzione e la maturazione artistica sono manifestazioni della vitalità di ogni artista. Forse le pecche di questo disco stanno proprio nel cercare di soddisfare quei fan che vorrebbero tanti “Catartica”, mentre forse sarebbe stato più giusto continuare a sfruttare la vena cantautorale di “Uno” continuando a sperimentare. Insomma cari fan, se vi piacciono le band capaci solo di fare album tutti uguali, accontentatevi degli AC/DC e lasciateci i Marlene Kuntz.</span></div><div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;"><span style="font-size: x-small;"><br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"><iframe allowfullscreen='allowfullscreen' webkitallowfullscreen='webkitallowfullscreen' mozallowfullscreen='mozallowfullscreen' width='320' height='266' src='https://www.youtube.com/embed/bcuUZaz8ZF0?feature=player_embedded' frameborder='0'></iframe></span></div><div style="backgr3; font-size: 12px; line-height: 18px; text-align: justify;"><div style="text-align: left;"><span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;"><br />
</span></div></div>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/06590642245188297044noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4240339325292393066.post-53929871038770828692011-11-11T18:57:00.000+01:002011-11-14T14:08:55.986+01:00Recensione: Ulver - Blood Inside<div align="JUSTIFY" style="margin-bottom: 0cm;">
<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Sono passati dieci anni dall’uscita di “<b>Bergtatt</b>”, il primo full lenght di Garm e compagni. Quel disco aprì una trilogia di lavori caratterizzati da un black metal ferale, arricchito da influenze folk non indifferenti; ma nel 1998 c’è la svolta, con l’uscita di “<b>Themes From William Blake, The Marriage of Heaven And Hell</b>”. I lupi del black metal norvegese cominciano a spostarsi dal genere, pubblicando un lavoro a metà tra avant-garde metal vicino agli Arcturus (nei quali militò alla voce lo stesso Garm), elettronica e ambient. Poi, nel 2000, la pubblicazione di un album come “<b>Perdition City</b>” segna un totale distacco dagli Ulver che diedero alle stampe capolavori “<b>Bergatt</b>” e “<b>Nattens Madrigal</b>”. Quest’album è un lavoro difficilmente classificabile all’interno di un genere preciso, essendo a metà tra elettronica e ambient ma ricco di inserti di diversi generi, specialmente jazz. Questi nuovi Ulver, eclettici e camaleontici come non mai, dimostrano di saper spaziare tra un genere e un altro senza particolari problemi. </span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">E dopo cinque anni di attesa, ecco che viene dato alle stampe il tanto atteso “<b>Blood Inside</b>”. L’artwork è apparentemente semplice, con una croce rossa su sfondo bianco che simboleggia l’emergenza totale della vita, quel sangue che inizia a scorrere in noi nella nascita e si ferma nell’inesorabile fine rappresentata dalla morte. Ed è proprio questa fine ad essere avvilita e tormentata da una telefonata senza fine e dall'operatore, figura dominante dell’ultima traccia che, senza rispondere al segnale di attesa, lascia esalare l'ultimo respiro dell'emergenza in un tetro, oppressivo e disumano silenzio. </span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">L’album si apre con “<i>Dressed in Black</i>”. Questo brano, è un pezzo inesorabilmente lento e minimale, che riesce, in certi frangenti, a diventare “deliziosamente” oppressivo, per poi sfociare in un crescendo monumentale, nel quale dominano i suoni percussivi e altri effetti sonori dosati sapientemente. A fine traccia sono presenti dei cori dal sapore onirico che collega l’opening track con il secondo brano, “<i>For The Love Of God</i>”. L’aspetto che colpisce fin da subito è la cadenza del brano, scandita dai sublimi effetti percussivi, che si legano alla perfezione con il cantato impeccabile di Garm. Anche questo brano è legato al successivo dal suono di molti campanelli, che introducono “<i>Christmas</i>”. Questo pezzo, uno dei più apprezzabili di tutto l’album, parla del ruolo della religione nella società odierna, la quale subisce troppe interpretazioni diverse che portano la società a frammentarsi, trascinata dalla cecità della fede, che è identificata come rovina della religione stessa. Il pezzo successivo è “<i>Blinded By Blood</i>”, un brano prevalentemente ambient che spezza l’andatura dell’album per introdurre “<i>It Is Not Sound</i>”. Questa quinta traccia è probabilmente la migliore di tutto l’album, e contiene gli aspetti significativi di tutta l’opera. La parte più interessante è “l’assolo” di sintetizzatore, che consiste in un intreccio di brani di musica classica riadattati, tra i quali spicca “Toccata e Fuga” di Johann Sebastian Bach. Il pezzo successivo, “<i>The Truth</i>”, è dominato dai suoni percussivi e dagli altri effetti sonori che si miscelano perfettamente tra loro, adattandosi alla stupenda voce di Garm. La settima traccia è “<i>In The Red</i>”, un pezzo molto particolare, arricchito da continui richiami al jazz e alla musica anni ’20. Le ultime due tracce sono strettamente connesse tra loro: “<i>Your Call</i>” un pezzo dal respiro ambient dominato dal segnale di chiamata al quale nessuno risponde, introduce il pezzo di chiusura, la violenta “<i>Operator</i>”, ricca di arrangiamenti jazz molto tecnici e complessi, però senza sfociare in un virtuosismo che risulterebbe inutile e dannoso al contesto.</span></div>
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<span class="Apple-style-span" style="font-family: 'Trebuchet MS', sans-serif;">Dal punto di vista lirico, nulla è lasciato al caso. Tutti i testi sono enigmatici e di dubbia interpretazione. Dopotutto questa nuova fatica del trio norvegese è un disco eterogeneo, nel quale Garm trascina l’essenza elitaria del black metal in un contesto nuovo, particolare e molto più vasto di quello del black metal. Questo disco è di difficile ascolto, e non è semplice comprenderlo. È dichiaratamente un disco per pochi, che può risultare un ulteriore tradimento agli ascoltatori più fedeli al black metal, ma può essere considerato un capolavoro dai pochi che riescano ad apprezzarlo in tutta la sua sostanza. Dunque viene da chiedersi se questi dieci anni siano tanti o pochi per un’evoluzione che, nel caso degli Ulver, è perennemente in pieno svolgimento.</span></div>
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