Ricordate quei riti
folkloristici semi-sciamanici praticati dal partito più longevo del
Parlamento Italiano? I raduni a Pontida, le ampolle con l'acqua del
Po, Alberto da Giussano e tutto il resto del caleidoscopico intruglio
fantastorico che sta alla base del mito della “Lega Nord per
l'indipendenza della Padania”. Sì, Padania. Una delle paroline
magiche, insieme a “secessione” o, per i più moderati,
“federalismo”, che hanno tirato avanti il Carroccio dalla
fondazione fino a oggi, passando per alti e bassi. Quando si parla
della Lega Nord si tende sempre a sciorinare giudizi di valore etico
e anche sui nostri maggiori quotidiani nazionali, ahinoi, si stenta a
leggere analisi politiche di valore strategico che potrebbero essere
molto più utili per la comprensione di un movimento politico che è
riuscito a creare un mito nazionale basandosi sui regionalismi (innegabilmente esistenti), in
grado di raccogliere consensi sia a destra che a sinistra. Il
terremoto di Tangentopoli ha certamente aiutato la crescita di un
partito che sin dagli albori si proclamava diverso dai partiti
tradizionali, ma la strategia di fondo del partito è sostanzialmente
basata sul fatto, ormai evidente, che il popolo ormai vota sempre più
con lo stomaco e con le emozioni e sempre meno con il cervello:
“governare è far credere”. Una base fortemente connessa al
partito e l'immagine del partito duro e puro hanno fatto il resto. I
risultati? Nel giro di pochi anni la Lega Nord è entrata nel giro
delle coalizioni che si sono succedute al governo.
Tuttavia, analizzando la
cronaca politica italiana degli ultimi anni, è evidente un cambio di
direzione iniziato con la segreteria di Matteo Salvini. L'attuale
segretario ha ereditato un partito in declino, sommerso da scandali
tipici dei partiti italiani che hanno deluso la base e l'elettorato.
Inoltre, in molti anni di governo la Lega non è mai riuscita a
portare il tema dell'indipendenza all'interno delle istituzioni
romane e si è limitata ad azioni di facciata, puramente simboliche.
In poche parole, la Lega non era più quel partito che attirava i
consensi con il “fascino della base” (valore tradizionalmente di
sinistra) o con il mito nazionale padano. Dall'ascesa di Matteo
Salvini come segretario secessione, federalismo e campanilismi
nord-sud sono passati in secondo piano, portando più a destra il
partito a favore di temi di vocazione nazionale ed antieuropeista.
Salvini vuole trasformare il partito locale in un moderno partito
pigliatutto, nazionale e ideologicamente trasversale, approfittando
anche della parabola discendente di Silvio Berlusconi per reclamare
la leadership del centrodestra. La base ha perso il suo ruolo di
bacino principale di consensi, il quale ormai è da trovarsi
nell'elettorato deluso dall'attuale situazione politica, sia a destra
che a sinistra. Ma qual è il ruolo dei militanti di lungo corso
della Lega Nord in tutto questo? Cosa pensa la base, tradizionalmente
molto forte, di questo cambiamento di rotta? I temi che un tempo
rappresentavano lo zoccolo duro dei consensi si sono ormai eclissati
e non sono più i punti principali dell'agenda politica leghista. Le
prime crepe si vedono già in Veneto, con il segretario della Liga
Veneta, Flavio Tosi, espulso dal partito. Ed è proprio in quel caso
che Salvini, da astuto stratega, ha rispolverato secessione e Padania
per calmare le acque. Ma non sappiamo quanto durerà, e non sappiamo
quali risultati potrà raggiungere la Lega Nord del nuovo corso,
basata sull'astuzia e sull'opportunismo politico del suo nuovo
segretario. Astuzia e opportunismo, concetti completamente opposti al
tradizionale modus operandi politico della Lega. Evoluzione
pragmatista o rinnego delle proprie radici, tanto care alla Lega Nord
tradizionale?
Spero almeno che qualcuno
abbia almeno il coraggio di ricordare al Don Chisciotte Salvini in
lotta con i mulini a vento dell'Euro che il suo partito nel 1992 votò
a favore per la ratifica del trattato di Maastricht.