Sensazionalismo, sdegno, terrore e superficialità: un cocktail giornalistico in grado di sterminare con facilità tutti i neuroni predisposti all'analisi e al raziocinio che il Grande Architetto dell'Universo dovrebbe averci donato all'alba dei tempi. Questo cocktail, l'ipocrita specialità della casa di giornali, televisioni e social network, ci viene proposto anche in seguito al dramma dell'attentato al giornale satirico francese Charlie Hebdo. In un giorno si è già detto e scritto di tutto sull'argomento, senza però inserire gli eventi nel loro contesto naturale e sociale.
Un esiguo gruppo di terroristi (cittadini francesi) di matrice islamica riesce a fare irruzione nella sede di un giornale satirico e stermina un'intera redazione per vendicare ciò che ai loro occhi è una grave offesa verso il Profeta. Su ogni rete di comunicazione il dito è puntato verso ciò che la ormai fragile civiltà occidentale, per necessità di un metus hostilis, ha definito anni fa come terrorismo fondamentalista islamico. Sul piano politico in tutta Europa le reazioni sono, giustamente, di unanime condanna e sui social network l'opinione pubblica esprime il proprio disgusto con l'hashtag #jesuischarlie. Ed ecco che, specialmente in Italia, parte lo sciacallaggio mediatico e politico sulla vicenda, trasformando le prime pagine dei giornali e le bacheche dei social network nel festival dell'ipocrisia e dell'agenda setting.
Iprocrisia, perché l'Italia è il Paese meno legittimato in Europa a spendere belle parole sulla libertà di stampa. Basta una breve ricerca sugli eventi della recente storia repubblicana per mettere in luce numerosi casi in cui la libertà d'espressione è stata messa a dura prova con tutti i metodi possibili, omicidio compreso (caso Pecorelli). In tutti i casi si è trattato di interventi squisitamente politici, atti a modificare il ventaglio di possibilità informative a disposizione del cittadino. Tra i casi più recenti c'è sicuramente il diktat bulgaro del 2001: molti politici che allora approvarono il giro di vite sull'informazione, considerando la libertà d'espressione un diritto sacrificabile sull'altare della stabilità di un governo, sono ancora in Parlamento e oggi osano ergersi a paladini della libertà di pensiero. Dobbiamo forse pensare che la libertà di stampa sia un valore da difendere solo se scorre del sangue? Non lo voglio credere. La rivista in questione ha inoltre pubblicato diverse vignette che possono essere facilmente considerate offensive anche per il cristianesimo. Non siamo tutti Charlie. In Italia Charlie Hebdo non sarebbe mai esistita per semplici motivazioni di autocensura sociale preventiva. La forma mentis tipicamente medio-italiana e comune a tutti gli strati sociali, di cui la politica è solo lo specchio, non avrebbe mai difeso una tale libertà di espressione senza la strage che si è verificata.
Agenda setting, perché nell'attuale società interconnessa attraverso Internet, al politico non serve più che un giornale pubblichi in prima pagina le sue parole, può farlo lui stesso sui social network, influenzando l'ordine e l'urgenza delle tematiche politiche dell'elettorato. Il terrorismo islamico è grasso che cola per l'estrema destra islamofoba, che fa leva sulle motivazioni religiose dell'accaduto per giustificare limitazioni di diritti fondamentali e cavalcare l'onda del problema sociale dell'immigrazione, che è tale solamente a causa dell'inettitudine dello Stato nel gestire quello che è un fatto umano. Queste manovre politiche, ineccepibili sul piano strategico elettorale, portano a pensare che l'Islam possa essere un problema, quando invece la religione è solamente il pretesto per destabilizzare le democrazie occidentali. Puntare il dito contro l'immigrazione e le religioni, senza vedere le reali motivazioni essenzialmente politiche ed economiche dietro gli intenti dei terroristi, servirà solo a fare il gioco di Al Qaeda, ISIS e tutti gli altri gruppi che si dichiarano islamici, ma che in realtà puntano semplicemente al potere. Il terrorismo ha il suo seguito popolare nel disagio economico e sociale nato dalla delusione verso una civiltà che si dichiara libera e foriera di valori universali, ma fallisce nel garantire il benessere nelle banlieue parigine così come a Damasco. Non c'è un noi o un loro: parlare di uno scontro di civiltà con l'Islam significa negare l'essenza del sistema di valori della democrazia. Il nemico non è il terrorismo islamico, è il terrorismo puro e semplice. Finché l'opinione pubblica continuerà ad assimilare e far proprie le tendenze xenofobe non farà altro che alimentare le tensioni sociali e non farà mai passi avanti nella lotta al terrorismo, che vuole colpire i nervi scoperti della società. Se l'Occidente è davvero forte come dice di essere, è il momento di dimostrarlo difendendo la cultura della tolleranza; la stessa tolleranza che, attraverso il diritto alla satira, rappresentava l'ossigeno del Charlie Hebdo.
Un esiguo gruppo di terroristi (cittadini francesi) di matrice islamica riesce a fare irruzione nella sede di un giornale satirico e stermina un'intera redazione per vendicare ciò che ai loro occhi è una grave offesa verso il Profeta. Su ogni rete di comunicazione il dito è puntato verso ciò che la ormai fragile civiltà occidentale, per necessità di un metus hostilis, ha definito anni fa come terrorismo fondamentalista islamico. Sul piano politico in tutta Europa le reazioni sono, giustamente, di unanime condanna e sui social network l'opinione pubblica esprime il proprio disgusto con l'hashtag #jesuischarlie. Ed ecco che, specialmente in Italia, parte lo sciacallaggio mediatico e politico sulla vicenda, trasformando le prime pagine dei giornali e le bacheche dei social network nel festival dell'ipocrisia e dell'agenda setting.
Iprocrisia, perché l'Italia è il Paese meno legittimato in Europa a spendere belle parole sulla libertà di stampa. Basta una breve ricerca sugli eventi della recente storia repubblicana per mettere in luce numerosi casi in cui la libertà d'espressione è stata messa a dura prova con tutti i metodi possibili, omicidio compreso (caso Pecorelli). In tutti i casi si è trattato di interventi squisitamente politici, atti a modificare il ventaglio di possibilità informative a disposizione del cittadino. Tra i casi più recenti c'è sicuramente il diktat bulgaro del 2001: molti politici che allora approvarono il giro di vite sull'informazione, considerando la libertà d'espressione un diritto sacrificabile sull'altare della stabilità di un governo, sono ancora in Parlamento e oggi osano ergersi a paladini della libertà di pensiero. Dobbiamo forse pensare che la libertà di stampa sia un valore da difendere solo se scorre del sangue? Non lo voglio credere. La rivista in questione ha inoltre pubblicato diverse vignette che possono essere facilmente considerate offensive anche per il cristianesimo. Non siamo tutti Charlie. In Italia Charlie Hebdo non sarebbe mai esistita per semplici motivazioni di autocensura sociale preventiva. La forma mentis tipicamente medio-italiana e comune a tutti gli strati sociali, di cui la politica è solo lo specchio, non avrebbe mai difeso una tale libertà di espressione senza la strage che si è verificata.
Agenda setting, perché nell'attuale società interconnessa attraverso Internet, al politico non serve più che un giornale pubblichi in prima pagina le sue parole, può farlo lui stesso sui social network, influenzando l'ordine e l'urgenza delle tematiche politiche dell'elettorato. Il terrorismo islamico è grasso che cola per l'estrema destra islamofoba, che fa leva sulle motivazioni religiose dell'accaduto per giustificare limitazioni di diritti fondamentali e cavalcare l'onda del problema sociale dell'immigrazione, che è tale solamente a causa dell'inettitudine dello Stato nel gestire quello che è un fatto umano. Queste manovre politiche, ineccepibili sul piano strategico elettorale, portano a pensare che l'Islam possa essere un problema, quando invece la religione è solamente il pretesto per destabilizzare le democrazie occidentali. Puntare il dito contro l'immigrazione e le religioni, senza vedere le reali motivazioni essenzialmente politiche ed economiche dietro gli intenti dei terroristi, servirà solo a fare il gioco di Al Qaeda, ISIS e tutti gli altri gruppi che si dichiarano islamici, ma che in realtà puntano semplicemente al potere. Il terrorismo ha il suo seguito popolare nel disagio economico e sociale nato dalla delusione verso una civiltà che si dichiara libera e foriera di valori universali, ma fallisce nel garantire il benessere nelle banlieue parigine così come a Damasco. Non c'è un noi o un loro: parlare di uno scontro di civiltà con l'Islam significa negare l'essenza del sistema di valori della democrazia. Il nemico non è il terrorismo islamico, è il terrorismo puro e semplice. Finché l'opinione pubblica continuerà ad assimilare e far proprie le tendenze xenofobe non farà altro che alimentare le tensioni sociali e non farà mai passi avanti nella lotta al terrorismo, che vuole colpire i nervi scoperti della società. Se l'Occidente è davvero forte come dice di essere, è il momento di dimostrarlo difendendo la cultura della tolleranza; la stessa tolleranza che, attraverso il diritto alla satira, rappresentava l'ossigeno del Charlie Hebdo.
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