Ci sono poche altre cose
al mondo che posso sopportare meno di un gruppo capace solo di
sfornare album completamente uguali tra loro. La sperimentazione è
il motore primo dell'arte e del nuovo, il movimento capace di
superare se stesso. È nell'eclettismo che, specialmente ai giorni
nostri, nascono le migliori opere d'arte, non solo nel campo
musicale. Tuttavia non sempre si riesce a ballare con leggiadria sul
sottile filo che separa una sperimentazione geniale e un lavoro sotto
la media. Mi duole ammetterlo, ma in questi casi rientra anche
l'ultima fatica dei Muse.
The 2nd Law è
un album molto ambizioso e rispetta certamente le dichiarazioni della
band precedenti l'uscita del disco. Come ampiamente annunciato,
sarebbe stato una rottura forte con gli album passati e così è
stato. In ogni album dei Muse ci sono sempre determinati elementi che
lo rendono diverso dal precedente senza violare la matrice
fondamentale della loro musica che si percepisce in ogni brano della
band. The 2nd Law non rappresenta un'eccezione a questa
regola. In certi punti riprende i vecchi lavori dei Muse, come
Showbiz e Absolution, in altri si avvicina al pop di The Resistance,
in altri strizza l'occhio a Skrillex e al dubstep. Nonostante la
miscela di generi non propriamente vicini, l'album mantiene la sua
integrità, anche se sin dal primo ascolto si sente la mancanza delle
caratteristiche che rendono un album un capolavoro. Insomma, questo
disco sicuramente non è fatto per timbrare il cartellino della
major, però non credo di essere l'unico ad aver avuto aspettative
maggiori circa quest'uscita.
L'album è molto
frammentato da brani ottimi e altri che rasentano la sufficienza.
Supremacy è un brano che si avvicina molto alla musicalità di
Showbiz e Animals (a mio parere il brano più riuscito dell'album)
sarebbe stato perfetto anche in Absolution. Buona la prova di
Christopher Wolstenholme come autore e voce principale in Save me e
Liquid State, due brani che raccontano la lotta di Chris contro
l'alcolismo. La sua voce si adatta benissimo al mood di Save Me, che
ricorda molto gli Explosions in the Sky. Forse Liquid State è un
brano che, a causa delle sue caratteristiche molto più rock del
brano precedente, sarebbe stato più adatto per Bellamy, ma la prova
è comunque superata.
Panic Station è un brano
puramente funky e in questo caso Bellamy &co hanno veramente
creato qualcosa di ottimo. È un brano molto anni '80, a metà tra i
Queen di Hot Space e il classico pop di Michael Jackson. Surivival,
colonna sonora delle Olimpiadi di Londra 2012, è un buon brano che
però in certi punti risulta fin troppo barocco e pomposo. Gli altri
brani risultano tutti sulla sufficienza e non hanno un grosso impatto
sullo scorrere del disco. I veri punti di domanda del disco sono
brani come Madness, Explorers e Big Freeze. Il primo è un brano
molto elettronico e pop, però manca di consistenza e non ha un
grande impatto. Big Freeze sarebbe stato un brano perfetto, se a
suonarlo fossero stati gli U2. A chiusura dell'album c'è una suite
composta da due parti, Unsustainable e Isolated System. La prima è
quella che per molti è stata la grande pietra dello scandalo di
questo disco. Il brano è puramente dubstep, con i soliti archi (fin
troppo presenti in tutto il disco) ed è praticamente strumentale.
L'idea di inserire elementi dubstep è una scelta molto coraggiosa ed
interessante, ma a mio parere è stata sfruttata male. Il problema
del brano non è il dubstep in se, anche se molti puristi appena lo
sentono nominare lo classificano come rumore e lo evitano a
prescindere. Il problema sta proprio nella struttura armonica del
brano, troppo banale per essere parte di un brano dei Muse. Insomma,
dubstep sì, ma dal dubstep made by Muse mi aspettavo molto di più.
Il brano di chiusura, Isolated System, ricorda molto l'elettronica
dei Royksopp ma non riesce ad avere un'identità propria e non lascia
la sensazione di vuoto tipica di una buona endind track.
La sensazione di vuoto
però la si avverte durante tutto il disco, anche dopo un secondo
ascolto. È poco consistente. Qualche brano ben riuscito in mezzo a
tanti altri che lasciano molto spaesati. Però mi piace considerarlo
come un album di trasformazione, un lavoro intermedio caratterizzato
da ottimi spunti che però non sono stati sfruttati al meglio. I
classici fanboy che vogliono altri cento Origin of Symmetry non
saranno certamente contenti, ma anche un ascoltatore più “evoluto”
troverà molti nei in questo disco. Un disco a metà tra il passo
falso e il buon lavoro.