sabato 29 settembre 2012

Recensione: Muse - The 2nd Law

Ci sono poche altre cose al mondo che posso sopportare meno di un gruppo capace solo di sfornare album completamente uguali tra loro. La sperimentazione è il motore primo dell'arte e del nuovo, il movimento capace di superare se stesso. È nell'eclettismo che, specialmente ai giorni nostri, nascono le migliori opere d'arte, non solo nel campo musicale. Tuttavia non sempre si riesce a ballare con leggiadria sul sottile filo che separa una sperimentazione geniale e un lavoro sotto la media. Mi duole ammetterlo, ma in questi casi rientra anche l'ultima fatica dei Muse.
The 2nd Law è un album molto ambizioso e rispetta certamente le dichiarazioni della band precedenti l'uscita del disco. Come ampiamente annunciato, sarebbe stato una rottura forte con gli album passati e così è stato. In ogni album dei Muse ci sono sempre determinati elementi che lo rendono diverso dal precedente senza violare la matrice fondamentale della loro musica che si percepisce in ogni brano della band. The 2nd Law non rappresenta un'eccezione a questa regola. In certi punti riprende i vecchi lavori dei Muse, come Showbiz e Absolution, in altri si avvicina al pop di The Resistance, in altri strizza l'occhio a Skrillex e al dubstep. Nonostante la miscela di generi non propriamente vicini, l'album mantiene la sua integrità, anche se sin dal primo ascolto si sente la mancanza delle caratteristiche che rendono un album un capolavoro. Insomma, questo disco sicuramente non è fatto per timbrare il cartellino della major, però non credo di essere l'unico ad aver avuto aspettative maggiori circa quest'uscita.
L'album è molto frammentato da brani ottimi e altri che rasentano la sufficienza. Supremacy è un brano che si avvicina molto alla musicalità di Showbiz e Animals (a mio parere il brano più riuscito dell'album) sarebbe stato perfetto anche in Absolution. Buona la prova di Christopher Wolstenholme come autore e voce principale in Save me e Liquid State, due brani che raccontano la lotta di Chris contro l'alcolismo. La sua voce si adatta benissimo al mood di Save Me, che ricorda molto gli Explosions in the Sky. Forse Liquid State è un brano che, a causa delle sue caratteristiche molto più rock del brano precedente, sarebbe stato più adatto per Bellamy, ma la prova è comunque superata.
Panic Station è un brano puramente funky e in questo caso Bellamy &co hanno veramente creato qualcosa di ottimo. È un brano molto anni '80, a metà tra i Queen di Hot Space e il classico pop di Michael Jackson. Surivival, colonna sonora delle Olimpiadi di Londra 2012, è un buon brano che però in certi punti risulta fin troppo barocco e pomposo. Gli altri brani risultano tutti sulla sufficienza e non hanno un grosso impatto sullo scorrere del disco. I veri punti di domanda del disco sono brani come Madness, Explorers e Big Freeze. Il primo è un brano molto elettronico e pop, però manca di consistenza e non ha un grande impatto. Big Freeze sarebbe stato un brano perfetto, se a suonarlo fossero stati gli U2. A chiusura dell'album c'è una suite composta da due parti, Unsustainable e Isolated System. La prima è quella che per molti è stata la grande pietra dello scandalo di questo disco. Il brano è puramente dubstep, con i soliti archi (fin troppo presenti in tutto il disco) ed è praticamente strumentale. L'idea di inserire elementi dubstep è una scelta molto coraggiosa ed interessante, ma a mio parere è stata sfruttata male. Il problema del brano non è il dubstep in se, anche se molti puristi appena lo sentono nominare lo classificano come rumore e lo evitano a prescindere. Il problema sta proprio nella struttura armonica del brano, troppo banale per essere parte di un brano dei Muse. Insomma, dubstep sì, ma dal dubstep made by Muse mi aspettavo molto di più. Il brano di chiusura, Isolated System, ricorda molto l'elettronica dei Royksopp ma non riesce ad avere un'identità propria e non lascia la sensazione di vuoto tipica di una buona endind track.
La sensazione di vuoto però la si avverte durante tutto il disco, anche dopo un secondo ascolto. È poco consistente. Qualche brano ben riuscito in mezzo a tanti altri che lasciano molto spaesati. Però mi piace considerarlo come un album di trasformazione, un lavoro intermedio caratterizzato da ottimi spunti che però non sono stati sfruttati al meglio. I classici fanboy che vogliono altri cento Origin of Symmetry non saranno certamente contenti, ma anche un ascoltatore più “evoluto” troverà molti nei in questo disco. Un disco a metà tra il passo falso e il buon lavoro.



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